a braccia aperte

È finita sotto i portici del salone, con i tavoli di cibo etnico che ancora distribuivano. Con larghezza, senza chiedere nulla e badando a sfamare quanti più possibile. C’erano molti visi che di solito si ignorano in piazza stasera, bambini, mamme, giovani e non pochi vecchi.
I discorsi sono stati parchi di parole, ricchi di testimonianze. Damilano ha ringraziato più volte, credo fosse anche perché coglieva bene il ripetersi di un piazza piena e degli undici anni in cui la città si apre. Accoglie ‎ non fa domande, ma offre. E chi mangiava assieme erano moltissimi, con quella fame che è insieme bisogno di calore, di tenerezza, di comprensione. Non c’erano i buoni, e neppure i cattivi, c’erano i bisogni e una risposta possibile. Senza paura, il sovrappiù diviso. E quando è cominciato a piovere fitto, ancora le file ordinate hanno preso cibo aprendo gli ombrelli, tirando su un cappuccio, mangiando in piedi in mezzo agli altri sotto i portici e parlando. Non del tempo, ma della vita: tu da dove vieni? Da quanto sei qui? E le lingue si sono intrecciare ridendo, perché c’era chi aveva bisogno da tempo di sentire le parole di casa. E di spiegarle a chi era vicino. Il gruppo che doveva suonare sul palco si è rifugiato sotto allo slargo che attraversa il salone, solo unplugged e le canzoni di un tempo in cui pareva che il mondo mutasse tra le dita si sono susseguiti. C’era molta pioggia, molte persone che lavoravano volentieri e molti sorrisi. Una magnifica serata.

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