Il cuore degli uomini, temo, dev’essere in continuazione fatto, confermato. E’ una verità ambivalente, ostica al desiderio di certezze e d’immutabilità che ci percorre, ma senza trarre subito dinieghi, pensate a quanto dei nostri giorni è rete di consuetudine, quanto si misura con tempi che non sono nostri e che neppure, forse, vorremmo, e quanto di noi è paziente costruzione, per capire che il rifarsi del cuore è un impegno necessario e costante. Ci si rende conto che l’educarsi al sentimento, all’affetto, alla percezione dell’altro, è l’opera nostra di costruzione del sé. Che questa s’affianca all’opera che altri, ben più forti ed arroganti, mettono in campo: la famiglia, la società che c’attornia, le convenienze, le regole, sino ai limiti fisici nostri confrontati con quanto si giudica forte, bello, adeguato. Chi non è bello secondo i parametri altrui dovrà scoprire la propria bellezza e di questa convincere il cuore per evitare l’infelicità. Come pure varrà per la forza e l’adeguatezza, il mediare con l’esterno il proprio benessere, sottoporlo, anche quando questo sia arrogante, ad una serie infinita di aggiustamenti che ne consentano l’equilibrio. E ciò vale per le conseguenze di questa ricerca al ben stare, ovvero il benessere economico, oppure quello affettivo, od ancora quello sessuale, ciascuno di questi esigendo un compromesso tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si è davvero. E quanto l’essere, sia esso stesso un mescolarsi di evidenza e di parti celate, lo sa il cuore che trova in suo punto d’equilibrio nel parlare con sé, mostrandoci ciò che siamo davvero. Superata l’età della sfida, della ribellione senza pensiero di conseguenza, ciò che viene dopo è un’intrecciarsi di forze, di fili che collegano e tengono, ma che se s’ingarbugliano portano verso nuove, intollerabili, prigioni. In questo c’è un dipanare, un pensiero d’ ordine che mette priorità, un prima e un dopo, valenza nelle persone e nelle cose. Ed in questo ordinare interiore c’è molto del fare e dell’educare il proprio cuore. Usare la parola cuore per ciò che sta nel cervello, significa mitigare la lama della razionalità dalla propria insensatezza, il vincolo che ci metterebbe costantemente in decisioni che, proprio per la loro nettezza, prescinderebbero da noi e non sarebbero parte di quella educazione al vivere bene che in fondo fa parte di tutte le aspirazioni e di tutti gli eccessi che comprendano la vita e il vivere. Ma questo cuore, costantemente rifatto e confermato, è quanto di più nostro abbiamo, quanto possiamo mostrarci per riconoscere ciò che siamo e da esso partire per riconoscere come abbiamo vissuto.
Se un pensiero mi attrae con maggiore forza, è quello che per scelta, semplifica, riporta a sobrietà il ribollire barocco delle vite, l’uso interiore degli aggettivi (ci sono aggettivi interiori che c’illudono, danno la sensazione d’onnipotenza, portano a crederci eterni) che scatenano la meraviglia fugace e la disperdono in infiniti rivoli di senso, tanto che alla fine, d’esso non resta traccia, inghiottito com’è dal predominare delle abitudini e dei condizionamenti, cancellato dalle pulsioni soddisfatte e subito dimenticate, riportato in una perenne eccitazione al fare confuso con l’essere.
La vita sobria è una vita complessa che si scioglie in pensieri forti senza dominio, che c’accompagna in stanze che si liberano di pesi, in archivi virtuali che s’ordinano ed in scelte che quietano. Forse il mio rappresentare le vite come poligoni di forze, sempre mutanti in relazione a ciò che improvvisamente diviene importante e tira in una direzione, non è quello che vorrei, perché è un equilibrio che ferma il movimento e trova un compromesso statico in attesa d’una nuova tensione che rimodelli il tutto, ma vorrei piuttosto il conformarsi ad una vibrazione d’onda che percorra il dentro e il fuori, faccia sentire che s’è parte dell’universo e di se stessi assieme e che questo vibrare, talvolta, all’unisono, non è solo la felicità, ma la consapevolezza d’essere all’interno d’un mondo al quale ci conformiamo senza subirlo, e continuando a crescere.
Insomma l’uno che prosegue la sua infinita corsa e ricerca che mai non avrà fine ed il tutto che si disvela mostrandosi per pezzetti di scoperta e meraviglia, includendoci e fluttuando assieme a noi.
Non si esaurisce nulla, il processo (il vivere) continua, e sapere d’esserne parte rimodella in continuazione il cuore.

Rieducare il cuore dopo che se ne ha percepito la strada semplice,non è che connettersi con tutto ciò che ci porta al sacro.Energia che,pur partendo dal basso si porta sù,torna al centro del cuore dove si rigenera in continuo flusso di un consapevole gioioso che racconta che,amare (senza egoismo) è l’unica cosa che nutre e reca felicità a chi si trova sul nostro cammino e con la stessa gioia “abbandonata” confivide lo stesso guardare.
Un saluto di buon giorno portato da gabbiani in volo con nel becco la bricciola di brioche o di pane e ovviamente un ciao mentre fuma il caffè.
Mirka
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cuore di porcellana, che basta intaccarlo un poco per ridurlo in pezzi.
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“…catene non ha, il cuore è uno zingaro e va” cantava Nada 😉
è il destino dell’uomo quello di non avere certezze, anche se tutti aspireremmo al contrario. E il mutare non è forse la condizione che tocca ogni cosa nell’universo?
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Uno scritto così non mi sognerei mai di scriverlo, ovviamente parlo per me. Non mi sognerei mai di scriverlo perchè pur riconoscendo il valore e la veridicità del contenuto, mi sentirei una parolaia. Penso che per mettere giù una riflessione come questa bisogna essere su quella strada, starci con le mani, col fegato e con l’intelletto, e il cuore, certo. Nell’intercapedine tra cuore e cervello c’è tutta la vita che si riesce a vivere, non quella che si vorrebbe. Parlo sempre per me, Willy: sono lontana dal cuore che si ‘rifà’, al massimo il mio si stende un copri-occhiaie per coprire la stanchezza o un rimmel per ottenere uno sguardo più profondo e intenso.
Penso che nel vivere stesso ci sia già un senso e uno scopo. E’ il sapersi, pensarsi, seguire le linee della propria vita con la coscienza di rifarsi che rompe l’equilibrio di per sè semplice. L’idea di perseguire una sobria attività di ricostruzione del cuore mi riporta il pensiero della perdita, assurdamente l’arricchimento è un perdere, quasi sempre lo è. Nelle tue parole vi è una danza. Allora perchè quanto scrivi in me suscita quasi solo dolore?
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Gli ossimori attraggono forse perché ci contengono nel nostro voler/essere una cosa e il suo contrario. La mia vita non è sobria, la vorrei, probabilmente ne seguo le tracce, apprendo nel momento in cui dimentico ciò che era sapere consolidato, tanto da diventare sovrastruttura. Nell’educazione di me non finirò mai, credo che lo stesso avvenga con tutti, che tu faccia lo stesso mOra, che tu non sia la stessa di un anno fa e neppure quella che sarai tra un anno. Se si ha l’attenzione per curare/abbellire il cuore non manca l’attenzione per mutare, rifarsi un poco per volta, simili. Bisogna decidere a chi e a cosa assomigliare, io credo che assomigliare a sé sia la cosa migliore, ma non è un sé predeterminato, è un divenire, un essere “confacente”, per quanto si può, e si vuole.
Una verità di cui ho percezione, è che il dolore ha sempre una ragione che solo noi possiamo conoscere, e che spesso nascondiamo sotto altre impronte di dolore, forse perché un dolore nuovo ci pare più acuto di quelli conosciuti.
Mi spiace che le mie parole sollevino questa sensazione, posso solo dirti che esse stesse sono nate tra serenità e malinconia, ma che entrambe le condizioni, non durano per sempre, le convinzioni invece, sono molto più resistenti.
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