cracker

E se avessero ragione ? Non la ragione fisiologica, ma quella che genera l’interrogarsi profondo che cambia la percezione di sé. Allora bisognerebbe fare un bilancio, quella cosa mai giusta davvero dove non si riesce a pagare un prezzo equo per gli errori e  ricevere altrettanta ricompensa per le cose buone fatte. Lavorare sulle percezioni altrui, solo su queste, è sempre sbagliato. Enfatizza le sensazioni, cerca un compromesso che porta ad una non verità. Si è come si è e bisogna accettare di non spiegarsi a sufficienza, perché sarebbe necessario avere un sistema metrico comune, ovvero cos’è importante, la percezione della bellezza, i principi su cui si vive, le parti inalienabili. Ed attribuire lo stesso valore a tutto. Impossibile, bisogna adeguarsi ad una comprensione che avviene su campi poco minati. In fondo è arroganza pensare che si ha la forza di spiegarsi davvero. Molto più facile lo scontro o il piegarsi al sono come tu mi vuoi. Per piacere, per interesse, per prevalereSarà per questo che non ho nulla da dire oltre la barriera del vissuto. Non correggo gli errori su di me, le cantonate, le incomprensioni.
Dovrei esplicitare domande come queste: tolta la fatica di capire, qual’è la misura vera dell’interesse tra le persone? E se non si capisce, se non si penetra la superficie, a che vale spiegare in continuazione? Esiste una reciprocità necessaria e non si possono proiettare le nostre necessità senza vedere cose che non ci sono. Leggiamo nell’altro le nostre paure, le delusioni. Bisogna ascoltare. La parola non basta, è come raccontare la prima suite per cello di Bach, al bujo, di notte. Non c’è nulla che possa davvero essere spiegato, se non è sentito assieme. 
Ed allora, tutto inutile? Impossibile comunicare profondamente? No, bisogna accettare il proprio limite per superarlo. Per questo vivo. La complessità inutile mi opprime, ma è un problema mio. Incomunicabile. Come la memoria che da sempre mi accompagna, e diventa minacciosa, ricorda particolari, fatti, parole incaute, lettere, messaggi che incespicano su una virgola, un aggettivo e muoiono.
Un tempo mi piaceva provare la fame del digiuno, passare un giorno a thé e poi cominciare da un cracker. Sentire il bisogno di cibo e il gusto che riempiva il palato.  Il sale sapido e i denti che sbriciolavano. Oggi non si mangia quasi mai per fame ed i gusti si perdono verso l’eccesso. Lo sanno bene i cuochi che eccedono in glutammati, in sale, che aggiungono anziché togliere, per coprire domande e saturare il gusto. A me piaceva interrompere e poi ripartire con le abitudini: solo governo di sé e piacere. Adesso non riesco più a ripartire con le abitudini. Non ora. Per questo aspetto.
Aspetto che spiova per parlare del sole non ancora arrivato.
Aspetto come una sala di stazione, ascolto i treni, saluto, tengo il calore dei corpi sudati, osservo persone che si inerpicano su scalini senza memoria di fatica, sento il risucchio di vento che trascina destini. Aspetto e non richiamo.
Aspetto con una forza erculea che raddrizzerebbe uncini di ferro forgiato, ma sarebbe solo per sentire che il tempo si riduce. 
Non vedo ed aspetto, mentre la pioggia striscia con nervosismo i vetri.
Mi pare tutto così sciocco che mi scindo. In continuazione. Un pezzo ascolta, un pezzo usa un tempo ed un altrove diverso, un pezzo s’annoia. Aspetto che tutto si ricomponga. aspetto di essere stanco e dormire senza sogni. Aspetto che le parole salgano alle labbra e diventino fiotto, corrente, flusso, direzione. Aspetto anche di dire come sto. Quando lo chiedono adesso, dico bene, ma solo per tacere, per non spiegare ciò che non ha parole.
Vorrei invece dire: tieni un refolo di vento come un abbraccio che mando, ed ascoltami che oscillo sull’orlo d’una felicità d’attesa.

9 pensieri su “cracker

  1. Mi rendo conto sempre più spesso che le mie priorità sono diverse da quelle degli altri. E quindi è più facile non essere compresa.
    Ma non mi interessa essere compresa da tutti, anche perchè non è possibile.
    Come non è possibile piacere a tutti.
    E quindi: non va bene il “piegarsi al sono come tu mi vuoi per piacere” e nemmeno vedere “cose che non ci sono” e proiettare le nostre necessità senza ascoltare.
    E’ piuttosto pericoloso.
    Ma siamo umani: per fortuna!
    Sai cosa ti invidio?
    L’essere bravo a riuscire ad aspettare.
    Che sia una serena giornata, ciao

  2. l’altro è uno specchio, in effetti,
    ci pone di fronte al richio della proiezione, del transfert,
    ci pone di fronte al nostro egoismo nel volere o meno vedere delle cose,
    l’altro è quindi una palestra per permetterci di essere noi stessi: dipende solo da noi cogliere questa sfida o abdicare ai luoghi comuni, alle maschere

    lasciarsi fluire e lasciare essere senza aspettare, bè, un’arte, ovviamente

    molto interessante il digiuno per riscoprie i sapori—

    io ho provato a mangiare ad occhi chiusi, ti assicuro che in effetti riscopri i sapori—

  3. Fondamentalmente concordo e quindi non dovrei nemmmeno commentarti: mi succede spesso con te in questo blog. Ma non si fa, non è sano il silenzio obbligato di chi pensa sempre e comunque di essere così perspicace da aver capito senza altro aiuto di in intuito immediato. C’è la cultura certo, una sintassi simile, molte strade mentali già percorse e belle da ritrovare, ma non basta Willy. Nè qui nè altrove dove si consuma un rapporto interpersonale: serve provarci, dire, indicare, suscitare, interloquire. Due esseri umani che ascoltano Bach assieme non ascoltano lo stesso spartito…quando me ne accorsi 20 anni fa mi sembrava di impazzire poi compresi che è possibile condividere emozioni. E lasciarne una parte segreta e personale solo per noi stessi, tanto finirebbe ugualmente così.

  4. @ondina: sul fine settimana ci spero molto. Poi ti rivelo un segreto: a me piace aspettare. Non sempre, ma generalmente è così, lo considero un tempo regalato e finché aspetto faccio altro, penso a me, a chi cerco di capire, raccolgo le idee. Insomma non è tempo sprecato.
    Effettivamente non è possibile piacere a tutti, e non è possibile piacere del tutto neppure a chi ci piace, è solo nell’innamoramento che ci si spiaccica sull’altro. Non assomigliare è già difficile, far capire che non ci stiamo in una comoda scatolina preconfezionata, è quasi impossibile. Pensiamo a godere del sole e del tempo a disposizione, il resto verrà, se deve venire.
    @parolesenzasuono: credo che sia tutto nella tua frase: l’altro è una palestra per permetterci di essere noi stessi. Ovvero l’altro non è noi, ma permette di scoprirci. Poi se non ci va, non c’è niente da fare.
    Le cene al buio, le conosco. Esperienza intensa, da soli o da condividere.
    @Enzo: sono completamente d’accordo sull’incomunicabile. In pochi momenti, l’esperienza è talmente intensa che si condivide il grado, non la sensazione eguale. E di solito gli aggettivi si muovono sul grado di piacere, non sul suo contenuto. Basta considerarlo una parte di sé, un valore, che non toglie nulla a nessuno.

  5. sul vento: sarà folle, ma il mio primo orgasmo (senza toccarmi) è stato opera di un vento invadente, un “principe” invisibile e curioso, alimentato da una fantasia e da una natura precoce e fin troppo accesa (avevo solo 12 anni)
    ancora oggi le giornate ventose mi fanno fremere
    figurati se non posso immaginarmi abbracci invisibili ad altri 🙂

    sull’attesa: io proprio non so attendere, impazzisco, piuttosto mi scontro con le cose, ma non riesco ad aspettare (ho provato ad essere paziente, ma è come chiedere all’acqua di fluire in senso contrario alla gravità)

    non si può cambiare la natura delle cose e delle persone, ma questo arricchisce la gamma delle variabili e l’avventura del vivere diventa sorprendentemente appassionante

    N.

  6. @ww:non si può cambiare la natura delle cose, le persone, sia pure con molta fatica, possono mutare. Certamente non l’essenza, ma quella è una questione così personale che, probabilmente, neppure interessa davvero, però in superficie si muta di continuo, si interagisce con l’ambiente, con gli altri. Quando c’è un rapporto intenso con una persona, si cambia e si è cambiati. Quanto a fondo, dipende da noi. Questa è la mia esperienza.
    Se non ci fosse il cambiamento, ovvero la sua disponibilità, l’avventura del vivere, come dici, non sarebbe così appassionante.
    Star bene anche nell’attesa, non è la mia unica stranezza, ma credimi, è un vantaggio, non un peso.
    buon fine settimana N.

  7. la chiamavano waitie-katie, alla fine il principe l’ha sposato. poi c’erano quelli che aspettano godot e si perdono la vita che passa. si vive, rollandosi il tempo, pensando di influenzare tutto, in realtà s’influenza ben poco : se va bene ci prendiamo un bel virus 🙂

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