il tempo e le cose

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Ho sempre fatto più cose, talora molte. Se questo servisse in realtà ad altri scopi, cito i verbi: esaltare, distogliere, amare, misurare, occultare, rispondere, soddisfare, ecc. ecc. , quasi certamente è vero. Mai un solo verbo applicato per volta, però, e la mistura era, -ed è- la mia interpretazione del vivere. Con questa premessa, è evidente che il tempo sembrava non bastare mai. Era vero allora, e neppure basta ora, che forte di vita vissuta potrei dire: ecco la lentezza non è più solo una modalità epicurea del vivere, ma piuttosto una necessità per assaporare ciò che c’è in relazione a ciò che è stato. Ma quale tempo non mi basta? Quello del vivere per necessità che è il contrario del piacere di vivere, per questo il mio tempo è diventato oggetto prima di riflessione e poi di sperimentazione. Ognuno si costruisce le sue ricette sull’uso del tempo, chi se ne fa dominare, chi lo rifiuta, chi si porta verso altri tempi oltre quello cronologico. Ciò che importa è che il tempo, e le cose, non prendano in mano noi, ci facciano scegliere ciò che non vogliamo e alla fine vivano al nostro posto. C’è tempo, tutto quello che c’è, e quello basterà per tutto il necessario e il soddisfacente, non possiamo averne di più. Ecco allora che la lentezza non è più un rallentare le cose, ma il governarle e si unisce alla leggerezza per riconquistare una libertà inusuale.

Ineffabile è la condizione di chi si pone al di fuori eppure è dentro, di chi non guarda l’ora e corre per il suo piacere, di chi fa e sente che quello che compie soddisfa. Chi? Naturalmente se stesso. E per gli altri non c’è bisogno di scuse se si è davvero se stessi.

pensieri del genere

Chissà cosa pensa una donna quando rimette in ordine i cassetti, oppure quando cucina, rifà i letti o pulisce il bagno. Credo esista un pensiero legato al genere, all’educazione e che questo abbia effetti diversi anche su ciò che si sta facendo. Quando metto in ordine il mio pensiero si perde sulle cose più che sull’imperativo di fare ordine, diciamo che al massimo faccio largo. Quando cucino sento invece la necessità di lasciare una mia impronta su quello che sto preparando, emerge un fare che non segue le ricette pedissequamente, anzi aggiunge e toglie immaginando un effetto finale che mostri una cosa e ne faccia sentire una leggermente diversa. Lo stesso mi accade se offro un vino, molto spesso preferisco vini che non conosco, ma che mi ispirano. Mi piace condividere la scoperta. Una vicenda a parte è la pulizia del bagno, il togliere polvere o rifare i letti, qui la testa si concentra e cerca di raggiungere il risultato nel minor tempo. Mentre negli altri casi è l’ego che prende il governo e si diverte, nel pulire è la necessità del controllore che guida: pulizia, efficacia e niente divagazioni.

Se penso al piacere di fare, questo si concentra sulle attività in cui scelgo, le altre diventano necessità. E me ne accorgo dall’uso del tempo: infinito nel riordinare i cassetti, le scatole, i libri, i giornali, la musica. Ben delimitato nel cucinare. Se aspetto ospiti cerco di calcolare come arrivare alla cena e sedermi con loro, quindi il tempo parte lento e poi scivola nel frenetico quando si avvicina l’ora dell’arrivo.  Tempo distratto, invece, e costretto nel pulire, ovvero cerco di uscirne al più presto, ma senza impormi limiti, se non il risultato.

E cosa penso? di tutto, tant’evvero che mi perdo se ciò che faccio mi interessa, il tempo non è un problema e il pensiero scivola su persone vicine o lontane, fatti, oggetti, pezzi di memoria, cose da fare o da scrivere, telefonare, meditare. Mi fermo, riprendo, metto da parte, lascio emergere domande insolubili sull’esistenza, la mia, mi comprendo e perdono. 

E, infine, mi chiedo cosa pensano le donne quando fanno i miei stessi lavori, riordinano i cassetti, cucinano o aprono le scatole che attendono da tempo di essere riaperte. Chissà…