Ho una piccola mania, che magari è grande e non me ne rendo conto: mi danno fastidio le cose che non funzionano. Tutte. Mio figlio diceva che ero un aggiustaio, non era vero, però ci provavo. Forse era una reazione al fatto che non avevo manualità e vivevo tra persone che ne avevano sin troppa. Forse era il tentativo di rimontare virtualmente una delle tante sveglie smontate da piccolo e che erano servite a fare piccole trottole dentate, prima di dissolversi nel nulla, ma comunque fosse, ci provavo.
Adesso lo faccio molto meno, si butta via molto, ma un accanimento con le penne che non funzionano, ce l’ho. E così cerco di farle funzionare, anche quelle più difficili, le biro. Non ci riesco sempre, però la considero una disciplina. Mi applico, uso astuzie, attenzioni, ingegno che non hanno riferimento al valore, ma solo al fatto che uno strumento di scrittura deve scrivere.
Non è un problema di carenza, preziosità o numero, da sempre colleziono penne e ne ho a centinaia, ma forse la piccola follia è nella rassicurazione che all’occorrenza scriveranno, che sono pronte per qualcosa e non sono solo cilindri di vario colore e materiale accumulati.
Anzi il senso di sicurezza si spinge più in là, se penso che possono scrivere qualcosa che adesso non conosco, tracciare segni, ideogrammi, appuntare pensieri ben oltre al loro valore. E’ la certezza che le cose utili servono a quello per cui sono state fatte.
Così provo penne e se posso le riparo. E quando riesco a farne funzionare una di particolarmente riottosa, mi prende un piccolo senso di soddisfazione, quasi un piacere, che sconfina in un sorriso.