maggiorenti

Siamo stati giovani assieme più o meno trent’anni fa. Chi da una parte, chi dall’altra. Alcuni, io tra questi, eravamo rossi e magari un po’ lo siam rimasti, gli altri erano altrove. Tutti passati nelle discussioni feroci, tra inimicizie e scontri, dentro e fuori i movimenti giovanili, poi nei partiti. Grandi passioni civili come terreno comune, chi a favore, chi contro. Divorzio, aborto, i diritti e la pace. Come si declinavano allora: in piazza, per qualcuno e contro qualcun altro. Non c’era marmellata di idee, casomai confusione, ma in luoghi distinti e poco comunicanti. Nei malmestosi anni ’80 e l’inizio dei ’90, tutto sembrò precipitare, ma da giovani non si pensa poi di farsi male nello scivolare, importante era avere principi e argomenti da portare. Adesso ci troviamo nelle cene, nei mille rivoli della politica che non si vede ma ha nomi e funzioni: chi sindaco, chi rettore, chi presidente di qualcosa, chi ex di molte cose. Sono i momenti del passato e del futuro, chi era democristiano, repubblicano, liberale, socialista, mica ha smesso di esserlo, solo che ora è senza bandiera e senza patria, e mi chiedo come mai siamo smottati tutti assieme nello stesso contenitore che non è un partito, ma un’area dell’essere, con i corollari della marmellata dei pensieri, del relativo.

Voi non avete vinto, noi non abbiamo perso, ci troviamo, cos’è successo?

Ci può consolare che non siamo più le prime linee, in fondo i vecchi sono le retrovie della politica e ora emerge sempre più che la scelta non è sulla parte  (quella pur smottata, è a posto), ma tra il nuovo e il vecchio. Però se il nuovo non lo è davvero, la storia si ripeterà e ancora si riconosceranno nei vicini gli avversari di un tempo, solo le facce cambieranno. Potrei pensare che tutto si stempera con gli anni, che i ricordi perdono le punte e diventano di pezza, oppure che è un fatto genetico: i dinosauri generano dinosauri e Darwin è troppo lento per la politica. Questo è quello che m’inquieta in questa notte, tiepida di chiacchiere e di vino, di futuri e dessert, dove la curiosità per ciò che cambia prevale, è che ciascuno pensa al suo intangibile e non si vede il futuro.

Mi guardo attorno e penso il nuovo sia altrove.