Anche per un goloso c’è la nausea. Si può alzare la soglia, aumentare la dipendenza, ma il limite verrà raggiunto.
Mi piace la cioccolata, quella amara, con alto tasso di cacao. La mangio volentieri e quando accade provo la doppia sensazione della trasgressione e della pienezza di gusto. Ad un certo punto mi fermo, perché oltre sarebbe una sofferenza. Non ho soglie alte, mi fermo presto. Qualche anno fa, con un amico, facevo la traversata dell’appennino a piedi, mangiavamo decentemente la sera, di giorno il problema era l’acqua e le calorie necessarie alla camminata. Avevo portato un bel pezzo di cioccolata, dopo due giorni ne abbiamo buttato la metà, le formiche hanno ringraziato. Questo, per me, vale per tutto quello che si ferma al limite della dipendenza e poi esonda, il piacere che diventa compulsivo, bisogno senza futuro. Non c’è nulla di giudizioso nel pensare queste cose, solo una scelta del vivere, tra il consumo immediato che sconfina, al di più, nell’abitudine ed il piacere centellinato, limitato. La trasgressione è la scorpacciata, il scivolare dall’uno all’altro modo di intendere se stessi, e la scorpacciata non crea dipendenza, al massimo un mal di pancia.
Mi piace l’idea che esista una modalità alla “Shéhérazade”, che crea un legame tra piacere e modifica dei destini di chi ne è coinvolto, ma in modo positivo, insomma diviene una storia. Parlo delle papille gustative ma in realtà parlo dei centri del piacere e della soddisfazione, ognuno ha il suo limite fisico, ognuno quello intellettuale, e la differenza è tra chi punta al consumo rispetto a chi lo inserisce in una storia personale. In questo la cartina di tornasole è il parlarne apertamente. Chi si governa non ha timore di esibire la propria vita pur nella contraddizione, che poi questo è il motore che permette di non essere prigionieri di sé attraverso la regola e neppure del piacere come norma, ma deve essere motivato a sé prima che agli altri. Insomma parte della propria chiarezza.
“Shéhérazade” induce all’attesa del dopo, e salva se stessa, ma anche il sultano che era condannato al sempre di più, ad una vita d’inferno che escludeva proprio il piacere del vivere.
Chissà se, e come, l’ha ringraziata.