Il teatro dei pupi staziona d’estate nel centro di Enna. Le rappresentazioni si alternano: il pomeriggio i ragazzi, la sera gli adulti. Le sedie sono di misura media, né grandi, né piccole in file ordinate, per non scontentare nessuno. Lo spettacolo finisce spesso all’ora di cena e la sapienza del puparo è preparare il lavoro del giorno successivo. Bisogna interrompere la storia dove più alta è la tensione e promettere che, chissà come, ma finirà. E i bambini, e gli adulti, che già sanno come andrà a finire, portano a casa lo cunto interrotto, cancellano il finale conosciuto, sperano e ricominciano a fantasticare. Il puparo li ha nelle sue mani, potrà mutare il prosieguo, magari di poco. Per creare l’illusione basta cambiare una battuta, spostarla, e guardare le bocche che sino ad un momento prima, sillabavano senza voce, già sconcertate e prese da nuovo interesse.
E’ la sorpresa che annuncia il cambiamento, e chiede d’essere pronti alla meraviglia. Dovremmo fare un parallelo con il vivere, dire che la vita ci interessa perché, se sappiamo come va a finire, le battute cambiano, e anche il discorso e gli esiti sembrano prendere un’altra piega.
Sarà che vorremmo cambiassero le storie, lo speriamo talmente tanto che ne immaginiamo diverse conclusioni, anziché lasciar fare alla vita. Ma per far questo bisogna diventare pupari, non pupi, non spettatori ed immaginare, immaginare, immaginare, finché l’immaginazione si consolida e si fa cunto.
Allora che sia vera o meno, per noi si fa realtà.
