Il bambinetto saltella, ride e borbotta: cacca, culo, pisello, cazzo, patata, patatina, fica.
Anche noi, guardandolo, come bambini ridiamo alla comicità un po’ da angolo d’asilo: già alle elementari le brutte parole non facevano più ridere, alle medie la trasgressione era la bestemmia, poi tutto un cercare i limiti guardandosi attorno. Le ragazze, che andavano dalle suore, un po’ rabbrividivano e protestavano, ma non se ne andavano, il proibito riguardava anche loro.
Sarebbe interessante per le bestemmie giovanili, scavare un poco nel rapporto tra il bisogno di ribellione familiare e quella esterna, dove la religione e dio, il loro posto pure lo occupavano, analizzando la necessità di essere adulti che prende la parte più facile dell’eloquio violento della rabbia dei grandi, ma non è il caso, non ora. Restiamo sul banale, sul parlar grosso. Essendo davvero poco puritano la cosa m’ interessa nel suo aspetto fenomenologico (parolona per dire: ma perché si ride di battute grasse, perché ci si conforma all’ambiente?).
L’osteria è un luogo di umanità forte per me, anche quando sembra non esserci, ma le osterie non esistono quasi più, e se si mettono l’acca davanti diventano luoghi per fighettosi convivi, insalate appiccicose, sfoglie glutammatiche per degustazioni improbabili di vini di cui vantare sapienza. Queste ultime non le frequento, sono sostanzialmente inutili per me. Insomma se il luogo di ritrovo è un luogo dell’anima, questa mica sta bene dappertutto. In questo andare e rapportarsi nell’osteria o nel bar d’elezione, il motto di spirito, il riso sono legante ed intercalare, come la parlata grossa, modalità del pensiero e dell’emozione già scavate a sufficienza nelle analisi dotte, ma chissà che osterie frequentava il dottor Freud? Quello che mi colpisce, non è l’emergere dirompente dell’assurdo, bensì il presunto vero, detto con parole conosciute ed espunte dal parlare educato. Quindi fa ridere la maleducazione? La maleducazione è trasgressiva? Né l’una né l’altra, anche in questo tempo, ché a suo modo, fa vigere sempre l’educazione, seppure il parlare accentua ed allarga i toni. Provate ad ascoltare questo parlare trasgressivo: le vocali si allargano, le finali si allungano, il dire passa dal concitato allo scandito, dal sussurro all’enunciazione con tono più alto per farsi sentire, mentre il confine del comunicare si sposta più in là. Per conformismo molti discorsi prendono lo stesso tono, come ondate che rigonfiano e poi s’afflosciano. E si parla di sesso, di politica, di sport, come se tutti sapessero di tutto con un banalizzare le vicende personali che, se conosciute dagli interessati, a questi farebbe un gran bene. Per il relativo che tutto questo ispira.
Dal tavolo vicino sembra ci sia voglia di vantarsi, qualche appellativo che in camera da letto o in un angolo bujo farebbe sesso, qui infastidisce, c’è proprio bisogno di chiamare troja la ragazza con cui si sta? Una fiera del trasgressivo raccontato al gruppetto degli arrapati con posizioni e dovizia di particolari, ma è proprio trasgressivo questo gusto forte? Una parola mi viene in mente: afrore: come la fregola mantiene l’eccitazione, ma chi lo userebbe come profumo personale? Mi viene da ridere nel pensare al dopo, ai compitini fatti cercando di ripetere le istruzioni, le acrobazie, nel perdersi che lascia spossati, vuoti, mentre crea nuova sete. Non c’è dubbio: sto invecchiando perché penso che in questo trasgredire più verbale che praticato non ci sia altro che molta noia, incapacità di vivere alternative, la trasgressione come sintomo di unicità per riconoscere che si è vivi.
Quello che ci ammazza è il conformismo, anche nella trasgressione, ed è anche il collante di questa società in cui il luogo comune risparmia la fatica del pensare, del cercare le proprie vie al ben essere.
Mi perdo in osservazioni da vecchio bacucco, penso che il trasgredire vero abbia un prezzo ed una “eroicità” ben superiore al conformarsi, una tensione etica di un modello personale di vita diverso. Quanta forza è necessaria per tutto ciò? E quanto rigore nel perseguire, mentre, invece, ricevo immagini flaccide che mi fanno sorridere. In realtà in tutto questo “trasgredire” c’è una normalità che sarebbe sconsolante se non fosse fatta di ammiccamenti, di discorsi da bar, di chiacchere tra amici e amiche. La sento come una sovrastruttura, un mancato riconoscere che la società è cambiata nel profondo, ma non ha regole per gestire il cambiamento. E le regole sono importanti perché sono quelle che verranno trasgredite. Trasgredire qualcosa che nessuno osserva più è solo parlar grosso, dove il parlare e il fare si confondono, ma non esiste ancora un linguaggio che consenta di sollevare la comunicazione ad “educazione” nel parlar del vivere.
Il bambino saltella, ripete il suo mantra e ride, a casa proverà ogni tanto a dirlo, per saggiare la reazione, per vedere se questo proibito è davvero proibito.