





C’è una linea del caffè che definisce la stanchezza. Quante volte l’ho superata immemore e consapevole, vantandomene spesso e contando sull’invincibilità del corpo, sul suo abituarsi alla fatica, sul fatto che bastava poco per essere pronto a nuove prove. Superavo la linea e non ascoltavo ciò che già sapevo, cioè che le sensazioni si sarebbero attenuate e tutto sarebbe diventato una poltiglia grigia in cui l’importante era finire. Ora capisco meglio che non è la forza quella che porta a superare il limite – e neppure il coraggio o l’abbrivio che nasce dalla volontà– ma la mancanza di uno scopo che includa e comprenda, una confusione su chi davvero sono. Arrivare agli anni tardi e non essersi almeno intuiti, arrivare a una ginnastica di aperture e di chiusure basate sul superare in continuazione il proprio limite, non è mettersi alla prova o essere vitali, ma essere in un pantano in cui è difficile procedere verso se stessi. E’ pensare troppo a noi, se si capisce di più ciò che non ci soddisfa nel superare il limite?
Nell’avvicinarmi alla linea del caffè, ora cerco ciò che mi consentirà di rientrare, l’ultima tazzina, l’ultimo bicchiere, l’ultimo boccone, che sono poi immagine dell’ultimo sentire, dell’ultima emozione, dell’ultimo entusiasmo. Un attimo prima e restare aperti al discernere del sé, ecco l’ auto governo senza rinuncia.
Dire a sé e agli altri la propria regola vitale che consentirà di accogliere senza reticenze. Prima era a notte, ora nella sera, cerco l’ultimo caffè del giorno. Quello che ancora mi dà piacere e alla bocca non muta il sapore in amaro.
Io direi che bisogna fermarsi prima…
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Non era forza, non era coraggio, era smarrimento. Mancanza di direzione. Un modo per rimanere impegnato senza necessariamente essere presente. Ma guarda come sei cambiato: ti avvicini alla linea con rispetto, come si fa con qualcosa che si è finalmente imparato ad ascoltare. Cerchi l’ultima tazzina non per resistere ancora, ma per riconoscerti, per rientrare dentro un confine che non è una prigione ma un rifugio consapevole. Hai capito che l’autogoverno non è negarsi, ma discernere. E adesso, quando scegli quell’ultimo caffè del giorno, lo fai con gusto, non per spingerti oltre, ma per restare dentro. Dentro il gusto, dentro te. E questo, forse, è già molto più di quanto credevi possibile.
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La linea, il limite mi parla. A suo modo, ma con gentilezza. Consumato il tempo del calpestare viene quello del percorrere. Ascoltare è un buon rapporto con il tempo. Quando c’era la vertigine del provare, il conoscere era una sosta che dissetava, ora è cibo che viene attraverso l’ascolto interiore ed esteriore. E in questi luoghi che possono portare verso solitudini, ho trovato profondità inattese, scabre di verità e tali da porre domande nuove. L’ultimo caffè anticipa la sua ora, le notti sono colme di sogni che chiudono porte lasciate socchiuse nel tempo, ma non è più caffeina è gusto che assaporo, un piacere che calma. Grazie Nadine. 🤗
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L’inerzia degli accadimenti diventa abito quotidiano. Quante volte non riusciamo a mettere confortevoli pigiami…
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La llibertà di essere senza ruoli o apparire, già…
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Che sia benedetto il caffè, che mi ha permesso di superare prove che altrimenti il mio organismo non mi avrebbe permesso! ☮️🙏
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