primavera a febbraio

Lavava la camicia come s’usava un tempo,

la tela insaponata su se stessa strofinata.

E attorcigliava e risciacquava,

riassumendo attento

mentre parlava con la vita.

Ma non aveva un ruscello a disposizione,

un flusso d’acqua chiara,

solo una bacinella e la rastrelliera

davanti la chiesa dei Cappuccini.

E intanto pioveva a raffiche

mentre lui lavava

immergendo e sbattendo la camicia sulla rastrelliera.

A capo scoperto, cantava

come fosse in chiesa

con parole chiuse in gola,

grumi di vocali buttate

in mezzo a consonanti di saliva.

Cantava strascicando le parole,

per ascoltarne il suono

sotto la pioggia, si fermava,

muto.

E nessuno chiedeva.

dagli ombrelli frettolosi,

dalle paste della domenica,

dai passi sottobraccio.

Il piazzale si vuotava

e per lui già era primavera.

8 pensieri su “primavera a febbraio

  1. Il testo è profondamente cinematografico e musicale. Potrebbe appartenere a un poeta del realismo contemporaneo, Willy, capace di trasformare un frammento ordinario in una scena universale. La pioggia, il lavaggio, il canto e l’indifferenza della folla creano un’atmosfera malinconica e, al contempo, vibrante di significati.

    Mi ricorda certi versi di Pasolini o la poetica degli umili e degli ultimi di Rocco Scotellaro. C’è un senso di dignità, di ritualità nascosta nella fatica, e una profonda capacità di resistenza interiore. Bravo!

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  2. Stavolta (strano ma vero) direi che prediligo l’altra versione, invece della sintesi.
    Resta comunque una grande storia e splendidamente narrata 👏

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