una perdita di sé ?

” Davanti a lei c’era il solito viso giovane di Senkichi, ma non aveva il fascino oggettivo che si può provare per il corpo di un uomo al quale ci si comincia ad abituare. No, era un fascino magnetico, sempre più ambiguo, sempre più totalizzante. qualcosa in lui l’aveva rapita e non sapeva se sarebbe riuscita a separarsene. La sua voce, un gesto banale, il suo sorriso, un’abitudine insignificante come la smorfia esitante che faceva ogni volta che accendeva un fiammifero e ne ammirava la fiamma… Non poteva lasciar andare tutte queste cose che, soprattutto da quando avevano iniziato a convivere, si erano incollate al cuore di Taeko come vischio. Se qualcuno le avesse estirpate con la forza, la sua pelle si sarebbe lacerata fino a sanguinare. ”  

Yukio Mishima. La scuola della carne. Feltrinelli

Taeko, la donna, ama e si lascia prendere dal fascino e, man mano, trasforma la presenza dell’amante in vita propria. Appartiene e la sua libertà evolve solo in relazione all’altro finché coincide con l’appartenere. Ma Senkichi non ha lo stesso sentire e ha una libertà che non corrisponde con eguale appartenenza, ha vita propria, e Taeko, mentre dipende sempre di più, lo capisce. Oppone desideri, destino proprio, ma solo nella sua mente, in realtà tutto è a due e vorrebbe un’ attenzione assoluta, essere libera di appartenere ed agire in conseguenza. Non essendo così, si lascia andare all’obbedienza, si conforma agli ordini erotici, modella la sua vita su quello che le viene chiesto, immagina una conclusione comune come libertà condivisa, ma sente che l’altro vive più vite e lei è solo una di queste. Di questo colloquio con l’amato, molto avviene nella sua testa, anche la richiesta di rassicurazione continua per timore della perdita che sarebbe perdita di sé, è implicita. Chiedere troppo potrebbe implicare l’addio. Teme la fine dell’amore come fine propria e il dolore fisico indicibile che ne conseguirebbe, è sul crinale, ha paura, non rompe l’incantesimo e quindi non può andare per proprio conto, deve procedere.

Se qualcuno vuol sapere come va a finire meglio legga il libro, a me interessa capire perché una cultura così differente dalla nostra com’è quella giapponese e in autore così imbevuto di tradizione come Mishima, diventi tanto simile la paura dell’abbandono nei suoi effetti. L’abbandono non ha sempre avuto la stessa fisiologia in occidente, in epoche, anche recenti e attuali, dove le migrazioni sono frequenti, c’è quasi un’inclusione della modalità del lasciarsi nell’ordinato evolvere delle storie amorose. Prima per una necessità che era immanente, dettata dalle cose, ora per una sorta di termine dei vincoli. Per cui è anche strano che questo sentire si sia portato, intatto nel dolore che provoca, nelle vicende di una società come la nostra, più leggera nei contenuti, meno vincolata. Diminuendo i vincoli sociali e religiosi legati al contratto matrimoniale e alle storie amorose era sembrato inizialmente che i sentimenti perdessero incrostazioni, fossero più naturali e liberi, che le storie avessero un evolvere che tralasciava gli assoluti e puntava sulla realtà. Come vi fosse finalmente un primato dell’amore, soprattutto nella sua eguaglianza di sentire e che il resto assumesse man mano la consistenza degli obblighi e della loro soluzione sociale. Invece non è stato così e pur essendo diverse le situazioni in occidente a seconda del contesto nazionale -ciò che è normale in un paese protestante sembra non lo sia in un paese cattolico- l’amore ha evidenziato la difficoltà di essere simmetrico e ha forse accentuato il dolore dell’abbandono. Più libertà ma non eguale, più dolore nell’abbandono, ma non eguale. A ben vedere tutto come prima. Quindi una fisiologia dell’abbandono e del dolore connesso non si è sviluppata. E non parlo delle grandi storie d’amore, ma della quotidianità dell’incontrarsi, amarsi, tenere assieme l’amore, oppure lasciarsi. Che questo accada in ogni cultura, anche se in modi, e credo con intensità differenti, rendono l’abbandono un punto fermo di analisi. A partire dall’abbandono (o dal suo non esserci) si arriva alla tipologia d’amore. E qui, ancora, oriente e occidente si incontrano, l’appartenenza e il sono come tu mi vuoi, è dipendenza, snaturamento del sé. Ma se si chiede a chi percorre questa strada, ci si sente dire che questa libertà consegnata all’altro è prova dell’amore e ancor più è dono assoluto. Piegarsi diviene facile se l’insicurezza di essere amati è alta, eppure in tutte le altre manifestazioni del vivere la vita sembra continuare con gli stessi principi di prima, è solo in quell’ambito che non ci sono più resistenze. Se in una storia non c’è simmetria, qualcuno rincorre perennemente e oscuramente sa che l’abbandono è già compreso nell’inizio, quindi ciò che si vorrebbe, indipendentemente dai sistemi culturali in cui si è nati, è che quel destino fosse rovesciato, che non fosse vero. Così Taeko, immagina evoluzioni cruente e comuni, non riesce a vedere un futuro felice e trasferisce alla passione asimmetrica il compito di far coincidere con un dolore/piacere, il destino comune. Manca un’ ipotesi dell’abbandono come evoluzione della storia amorosa, anche come sintesi di realtà, come passaggio/nascita verso qualcosa di nuovo che sia maggiore perché comprende una crescita. Il dolore come riconquista del reale e di sé, l’amore come qualcosa che mentre segna le vite, le spinge avanti, fa desiderare un nuovo assoluto. Manca questo pezzo nella cultura e quindi ciascuno lo elabora come meglio crede, trova una soluzione oppure implode in ciò che non stato. E questa singolare comunanza rovescia l’analisi: per sapere chi siamo e come saremo amati dovremmo capire perché l’abbandono pesi così tanto in noi come paura assoluta. Anticipo di una solitudine, questa sì assoluta nel nostro vivere, una incompletezza a trovare l’altro e quindi a sentirsi amati per davvero. Manca una educazione ai sentimenti, e questo è così poco naturale da far presupporre che sia un’area lasciata intenzionalmente vuota, come se nell’infelicità degli uomini ci sia un esercizio di potere.

10 pensieri su “una perdita di sé ?

  1. Ho commentato via email

    Il giorno lun 9 dic 2024 alle ore 13:37 inspirito inspirito195@gmail.com ha scritto:

    Volevo avvertirti di un problema tecnico. Non si riesce a commentare. Poi > mi sono trovata non più iscritta. > > Il giorno lun 9 dic 2024 alle ore 11:19 Willyco <

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  2. Per quanto riguarda il testo, molto profondo ed apprezzato, secondo me manca un’educazione al “rispetto” per i sentimenti

    Il giorno lun 9 dic 2024 alle ore 13:39 inspirito inspirito195@gmail.com ha scritto:

    Ho commentato via email > > Il giorno lun 9 dic 2024 alle ore 13:37 inspirito inspirito195@gmail.com > ha scritto: > >> >> Volevo avvertirti di un problema tecnico. Non si riesce a commentare. Poi >> mi sono trovata non più iscritta. >> >> Il giorno lun 9 dic 2024 alle ore 11:19 Willyco <

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  3. Più che una differenza in intensità credo ci sia una dilagante superficialità nei rapporti, soprattutto da parte dei più giovani… e di conseguenza il piegarsi, per evitare abbandoni e solitudine.

    Ma veramente volevo leggere le altre cose che hai scritto e sono rimasta indietro!
    Buona serata Willy 😘

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  4. difficile dire per me, se vi sia maggiore superficialità nei rapporti, mi sembra sia vero ma l’abitudine antica di sociologo a verificare mi trattiene. Di certo i sentimenti e il loro esprimersi e sentire mutano, la persona che li vive è dentro una cultura, un meltpot fatto di mille fili che tirano in direzioni diverse la stessa essenza. Che però rimane essenza. Un buon argomento di riflessione. Buona serata Mimì 🤗

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  5. Non sono sicura che oggi la paura dell’abbandono sia tanto diffusa. Chiaramente noi veniamo a conoscenza di fatti di cronaca relativi a persone che non sopportano di essere abbandonate e reagiscono a volte molto male, però si tratta comunque di piccoli numeri. Nella vita reale molte coppie si dividono e, sebbene ciò comporti sempre della sofferenza, alla fine ce la fanno a superare il trauma dell’abbandono. Non sono nemmeno sicura che oggi, almeno da noi, siano moltissime le persone disposte ad annullarsi pur di non perdere l’altro. Specialmente le donne, hanno acquisito nel tempo grande consapevolezza di sé e non sono disposte ad accettare di sacrificare la propria volontà per l’altro. Esistono, certo, persone molto fragili che non riescono a vedersi fuori da un rapporto di coppia, tuttavia io penso che siano in minor numero rispetto a altri momenti storici.

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  6. È molto interessante la tua presentazione del romanzo di Mishima ” La scuola della carne ,hai approfondito caratteristiche importanti dello scrittore e il ruolo delle differenti culture e quanto esse incidano sulla vita personale e sociali . Lo scrittore è rimasto chiuso nel suo mondo che emerge preponderante, anche secondo l’uomo è rimasto forse in parte bambino , sentimenti , emozioni e pensieri sono frutto del suo essere in relazione con se stesso più che con altri . La cultura è comunicazione, quotidianità ,tradizioni , valori , esperienze fuori da sé . È vero che si può fare meno di una vita sociale , parlo soprattutto di scelte molto prima della senilità c’è chi sceglie di vivere da eremiti in una città ,in un paesino i più , c’è anche chi sceglie di vivere isolato, in mezzo solo alla natura, il contatto con la terra e l’ambiente esterno possono essere semplici oppure difficili . Chi vive bene isolato si basta e sta bene o non si basta, questo provoca sofferenza. Resta una realtà fondamentale ognuno di noi ,nasce già con un suo temperamento , però sottolineo che sente ed sentito i messaggi trasmessi dalla mamma già dal grembo materno ,prima sente emotivamente, poi inizia ad apprendere fino a razionalizzare. Intanto è entrato a fare parte della relazione anche il babbo , i genitori sono il noto “arco che lancia la freccia ,più va lontano e più credo che la crescita sia equilibrato ” Questo mio lungo cappello per me è importante , naturalmente lo sono anche la realtà economico sociale e culturale che la famiglia vive .Tutti gli altri fattori influiscono ma” l’albero per essere sano ha bisogno di crescere sano dalle radici fino alla chioma “Resta centrale la relazione familiare perché determina lo sviluppo delle strutture psico sessuali e psico sociali nelle prime fasi della vita quando iniziano le relazioni interpersonali che continuano ad esercitare importanti influenze sulle attività della mente durante tutta la nostra esistenza. Non meno importante è che tutto ciò che ricordiamo non sempre corrisponde alla realtà , resta importante la percezione che ognuno ne ha come è importante il viaggio nella memoria che diventa consapevole . Allora altrettanto importante è che la persona riesca a rielaborare quello «di cui disponeva al di fuori del gruppo primitivo », e cioè « il senso della propria continuità, la coscienza di sé, le sue tradizioni e costumi, la peculiarità della sua posizione e delle sue funzioni. Cerco di concludere dicendo che tutt’oggi molti non riescono a volare lontano perché il processo di crescita passa spesso attraverso il dolore della crescita fino all’autonomia , dolore necessario ogni volta che ci troviamo a fare scelte importanti per uscire dal disagio che torna . Dopo il crepuscolo torna l’alba . Willy mi hai dato modo di ritornare alla mia esperienza personale ,familiare ,sociale al mio essere stata maestra di scuola elementare.Grazie grande 🥀🥀🥀

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  7. Grazie a te Francesca, hai messo a disposizione riflessioni e pensieri importanti. Penso che riprenderò il tema della costruzione di un sé. Naturalmente con tutti i limiti di una analisi non scientifica ma di ciò che ho vissuto e visto vivere. Buona notte e grazie

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