Avevamo arricchito i silenzi con piccole frasi: come va, prendi un te, con zucchero o senza? L’aria si increspava e la vibrazione si spegneva piano, frangendosi su una riva che non si vedeva. Le risposte erano rispettose degli equilibri e quali questi fossero, non era né esplicito né implicito. Troppa fatica e tumultuare di cuore per lasciare che affiorassero le ragioni vere di un sospendere indefinito. Qualcosa attendeva di formarsi in quella chiarezza perfetta che ha la consapevolezza, parente solare dell’intuito e per questo in grado di vedere con nettezza le cose. Come accadeva a fine inverno sui tetti in montagna, la neve si scioglieva in ricami impossibili, poi di colpo precipitava, matura di primavera e di scelte, ristorando una pianta ed essendo primavera. Forse tutto dipendeva da un tempo che non aveva fretta, che rifletteva prima di scorrere via, ed era diverso da altri tempi, perché sapeva attendere e silenziosamente maturava, cercando le sue ragioni in profondità impervie e nuove.
Altrove, nel tempo gaio in cui tutto importava, molto era disperante con la stessa natura della felicità e della leggerezza di pensiero. Era schiuma di presente e virtù di molti, ma non di coloro che scavavano nelle passioni, che le scorticavano come le parole. Questi graffiavano l’anima sino a trovarne l’inconsistente, che è pur sempre un vicolo del labirinto, e solo porta per un altrove in perenne attesa di scoperta.
In quel tempo, per abitudine comune, l’addio era leggero, un prolungamento del tempo che ormai aveva preso altra attenzione. Certo si soffriva e non era facile ma era nella natura delle cose e chi aveva esperienza di notti consumate nell’attesa dell’alba, di un peso da portare verso una stazione, oppure di un’auto o di un passo che s’allontanava verso un dove impreciso, ascoltava e taceva. Questo era nel denso ribollire dell’interrotto, del non consumato e non era proprio dell’esausto andare, o strascicar parole che a nulla servivano se non a non dire.
Di me t’importa poco, troppa fatica,
eppure quel poco ancora cuce pezzi di tessuto
Spazio, tempo, stato che muta e non dissolve
ma rammenda l’universo piccolo,
l’oscura materia che ansima vibrando
e nuovi astri crea nel silenzio.
L’assenza d’aria rende meraviglia
il terribile cozzo dei mondi e delle stelle.