



Questa terra è il luogo che mi ha generato, con la possibilità di essere ciò che sono. Nascere qui ha significato avere un cielo e una finestra da cui vederlo, una strada per andare a scuola, un cortile per giocare, il luogo in cui crescere. Così è stato per altri, con cui condivido la lingua, le storie dei genitori e degli antenati che si intrecciate nei secoli.
È un luogo da cui partire, ma che genera nostalgia anche quando provo la meraviglia del mondo nell’andare. Forse per questo indefinibile sentimento torno a questa terra, al calore materno che è nelle pietre, negli alberi, nelle case, nel cielo. È il luogo in cui ho imparato ad amare, ad avere memoria, per questo la chiamo mia terra e non mi serve possederla, ciò di cui ho bisogno è camminare nelle strade, fermarmi a riposare lungo il fiume, guardare le case, le persone, il cielo e ascoltarne le parole. Anche le lingue che non capisco, ascolto, e diventano parte di questa terra che chiamo mia ma ne posseggo solo il posto dove dormire, mangiare, lavorare. Quando penso che andrò via, so che altrove non ci saranno le stesse sensazioni, che in un altro luogo per chiamarlo mio, ci sarà bisogno d’ amore, di pazienza, di capire bene cosa pensa chi lo abita. Finché questo non accadrà sarò un ospite e sarò parte di quel luogo solo quando le storie e il capirsi si intrecceranno, ma ci vorrà tempo e forse non basterà. Possedere una casa, della terra, avere denaro non renderanno mio quel luogo, perché mio significa appartenere per essere uno e questa non è una proprietà.
Undici anni fa ero in Syria, in un piccolo villaggio del nord ovest, non c’era nessuno per le strade, le case ogni tanto lasciavano che un bambino uscisse per chiamarne un altro e giocare. Faceva freddo, c’era vento, allora una mamma o una nonna usciva e chiamava i bambini dentro. Al caldo. In una lingua di cui non capivo se non la musica delle parole. C’era amore e sollecitudine nelle voci adulte e i bambini rispondevano con lo stesso altalenare di toni, di vocali e consonanti, come in una canzone mormorata all’orecchio dell’amata. Una di quelle case a un solo piano, c’era una insegna in legno con scritto a pennello: museo e dentro l’unica stanza, un bellissimo mosaico di epoca romana, forse di quando Tito era imperatore. Mostrava con migliaia di tessere sapienti e colorate, una grande geografia di navi e pesci nel mare, di coste e deserti, tracciava i luoghi e i nomi delle città . Molte di queste città erano state potenti, ricche di uomini e monumenti, ma erano scomparse, e quel villaggio era quanto rimasto di una di esse, particolarmente grande. In quei luoghi le generazioni si erano succedute, erano passati i persiani, i greci, i romani, i crociati, gli arabi, i turchi e poi nuovamente gli europei, i francesi, gli inglesi e poi di nuovo gli arabi. Per alcuni di questi quella era diventata la loro terra, perché l’avevano amata, si erano fatti possedere da essa, avevano imparato dai vecchi abitanti, abitudini, lingua, il tempo della vita e della morte. Avevano onorato e preteso rispetto agli uomini, tanto che ormai chi si era fermato, diceva che era la sua terra.
Uscendo dalla casa museo, era tornato il vento, nubi di polvere portavano le ceneri di chi era passato, i bambini giocavano, le donne e gli uomini accudivano le poche pecore nei recinti. Era la loro terra, non occorreva possederla, bastava vivere in pace, crescere i figli, parlare con i vicini e ogni tanto ridere o piangere assieme. Nessuno di loro versava sangue altrui per avere altra terra, che non sarebbe stata la loro e avrebbe preteso altro sangue e tolto sapore e volontà alla vita.
La loro terra era piccola e bastava per vivere, chiunque si fosse aggiunto avrebbe avuto bisogno del necessario e poi di vivere in pace con chi c’era.
La mia terra non è bagnata di mio sangue, mi disse la mia guida, e neppure mi appartiene ma è il luogo in cui vivere. Qualche volta ci hanno cacciato, poi siamo tornati, perché chi aveva preso il nostro posto, versato il nostro sangue, non era riuscito a dire che quella terra li possedeva, erano solo i padroni e volevano cose diverse da quello che essa poteva dare. Potevano essere cittadini del mondo, se avessero condiviso la pace e la vita e il mondo sarebbe stato loro e nostro.
La mia terra non è mia, non mi appartiene, io appartengo a lei, e lei lo sa quando mi fermo, la sera, a guardare gli uccelli, il cielo. Quando ascolto la musica delle parole è poi cammino in mezzo a esse, sa che con la notte cerco il caldo della casa e che mi basta perché ciò che mi dona è quello che mi fa sentire parte di lei. Per questo amore questa terra è mia.
Oh, Willyco , quanta bella poesia hai scritto! Occorre una vita per scrivere tutto l’amore che tu hai
cantato con queste tue parole. Grazie di cuore.
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Grazie Marcello, le tue parole mi fanno arrossire perché dette da un vero poeta quale sei. Grazie 🤗
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Sono parole che riconciliano col mondo, ce lo rendono ancora come nostro.
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Un afflato d’amore e di pace profonda .
La poesia della tua vita mi commuove
Della bellezza che hai trovato ce ne rendi partecipi . Siamo tutti figli di madre Terra .
Willy , grazie con tutto il cuore ☮️
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Grazie a te Francesca per questo condividere. Nelle tue parole, adesso scrivi meno ma attendiamo in molti che tu lo faccia, ho trovato un sentire affine e partecipe, attento alla vita e a ciò che essa esprime attorno a noi. A te grazie 🏳️🌈
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L”anima è la tua terra, li dove esiste l’amore, la condivisione e l’umanità. In ogni luogo la potrai sentirla e ciò fa di te un vero cittadino del mondo.
Il tuo cuore è puro e bello.
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Grazie Marina, sono commosso dalle tue parole, non penso a me ma ai tanti che ho conosciuto nel mondo, che sono le stesse anime che tu conosci, che in tanti conosciamo. Non hanno brama di potere, tengono alla loro identità e a ciò che sono, vogliono pace, condivisione del difficile e del bello del vivere. Il necessario. E qualcuno è disposto a uccidere per portar via anche il necessario, ma che mondo marcio ha prodotto la voglia di prevale, di non avere misura? Che equilibrio si costruisce sul sangue sparso, sulla costruzione del nemico, sulla vendetta? Il mondo apparentemente inanimato si rivolta contro l’uomo e sconvolge le carte che sembravano durare come pietra. Ma quanta sofferenza inutile, colpevole, generatrice di rabbia e sofferenza sarà ancora portata a insultare la pazienza del capire?
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