
De otobre gò na rasòn vecia, squasi antica,
fata de odor de tera smossa,
de caminar pai campi,
de osei coe ale spaurie,
sbatue via dal volar suo.
Chissà cossa pensa la seegheta che scampa da un scioco,
da un movere de foje, da un sciopo,
col core ch’el par sciopar fin ché vola nel cielo,
sperando de scampar, nea paura sua,
che un dio a sò misura gabia on poca de atension,
par lù, oseo, picenin,
muceto de piume, poarete.
Non pol dir gnanca: otobre maedeto,
nol gà i mesi, on lunario picà in casa,
ma solo ch’el fiatineo de vita che pure ghe par tanto,
miga el pensa a quel che sarà, ma a quel che xè
e intanto el scampa, sperando.
Seguendo coi oci ch’el volar anca noantri speremo
che’el cacciator sia un fià orbo,
o almanco sbalà e poco bon nel trare
e magari tanto gnoco da sbaliare.
In tanto, da torno otobre colma l’aria
de odori sciaresai dal primo fredo,
de fumo lontan,
de caldo vizin na fiama,
de altro e pur tanto,
che mai se podaria metare so on telefonin, dentro na app,
però tuto sto rumegar de odori el ghe xè,
e basta snasar e vardar almanco un fiantenin,
solo par capir dove se zè,
dove semo rivà,
dove se podarave ‘ndar.
De otobre gò scarpe da trosi piene de fango,
que’o che deventa duro come piera,
gò el brivido in tea schina,
del primo fredo che zà el conta la sera,
gò el malstar del scuro che ciapa come na paura,
la vogia de un ciaro, se pur lisiero, de calor.
De otobre gò ancora tuto queo che ancora torna bon,
na siarpa, el primo paletò,
gò l’acqua del fosso che de matina varda la brina,
la pressa del tramonto de impisare la notte,
gò tuto queo che ghe xè
e no poco manca
ma questo miga dipende da lù,
da otobre,
dipendarà pur da mì
e cussì meo godo nel bon pensando
che no xè passà un mese,
na stagion,
ma n’altra de novo xè rivà.
la traduzione è libera, come diverse parole che sono mutate con l’uso massiccio dell’italiano. Gli accenti mancano quasi tutti, e il veneto, il padovano che è la mia lingua, in particolare ne è molto ricco. È difficilissimo seguire la grafia che è fatta di aspirate di sfumature e di segni che cercano di riprodurle. I significati si sono imbastarditi nella città e sfumati dai mestieri che non esistono più. Quindi chiedo venia per i troppi errori, per le omissioni, mi basterebbe restasse la cadenza, il suono che ormai è oggi l’unico riferimento della lingua veneta.
Di ottobre ho una ragione vecchia, quasi antica,
fatta di odore di terra smossa,
di camminare per i campi,
di uccelletti dalle ali impaurite,
gettate via dal loro volare.
Chissà cosa pensa il passero che scappa da uno schiocco,
da un muovere di foglie, da un fucile,
col cuore che gli pare scoppi mente vola in cielo:
di scampare, nella sua paura,
che un dio a sua misura abbia un poca di attenzione
per lui, uccellino
mucchietto di piume, poverette.
Non può neanche dire ottobre maledetto,
non ha i mesi, un lunario appeso in casa,
solo quel pochino di vita che però gli pare molto,
non pensa a quel che sarà, ma quello che è,
e intanto scappa, sperando,
e con l’uccellino, anche noi speriamo
che il cacciatore sia un po’ orbo,
o almeno squilibrato (sballato),
e sempre poco intelligente.
Intanto attorno ottobre colma l’aria
di odori resi chiari (distinti) dal primo freddo:
di fumo lontano,
di caldo vicino alla fiamma,
di altro e pure tanto,
che mai si potrebbe mettere in un telefonino, dentro un’app,
però c’è, e basta annusare e guardare,
almeno un pochettino,
solo per capire dove si è,
dove siamo arrivati,
dove si potrebbe andare.
In ottobre ho scarpe piene di fango,
quello che diventa duro come pietra,
ho il brivido nella schiena,
del primo freddo che già racconta la sera,
ho il malessere dell’oscurità che prende come una paura,
la voglia di una luce, seppur fioca, di calore.
In ottobre ho ancora tutto quello che ancora torna,
una sciarpa, il primo paletot,
ho l’acqua del fosso che di mattina guarda la brina,
la fretta del tramonto di accendere la notte,
ho tutto quello che c’è
e non poco manca,
ma questo mica dipende da lui,
da ottobre,
dipenderà pure da me,
e così me lo godo pensando
che non è passato un mese,
una stagione,
ma un’altra di nuova è arrivata.
Mi piace l’attesa quando è viaggio . E viaggio è. Tanti viaggi e tante pause . Ritmo incostante ,libero talvolta.
Poi arriva il tedio per il ri-flettere . E giunge l’attimo di riprender fiato che il chinarsi impedisce .
Il vento ottobrino così fresco, noi soli . La spiaggia ha un leggero tepore, accarezzo il tepore . Sole pallido e cielo ovattato . Ma l’orizzonte e nitido .
Sono ,un’ombra la mia
Tre respiri lunghi e profondi ,ripeto …Ripeto . E corro verso il mare e via ! Senza muta è un azzardo.
E dove l’onda va a morire non mi basta . Mi inoltro , è freddo ma devo andare dove l’acqua è profonda ,più profonda di me . Perché e così bella la vita è così dura come la roccia e li m’ infrango un po’.
Spero di cavarmela … La sequenza di obblighi e divieti, infine ,diventano ribellione pacifica . Che il tempo è finito e nell’atto scelgo . C’è una volontà che spinge . “Una guida” nel nesso della mia vita . Giusto, ingiusto ? Domanda superflua . È giusto vivere, certo . Niente rabbia frutto dannoso della resa .
Pace e amore , fratellanza, accoglienza condivisione e non tolleranza ,diritto e doveri ,partecipazione ,quel tanto che tutto doveva divenire . Cantavo da sola . Ed eccoci qua. Che l’attimo di lasciare tanto verrà. Non ora, un attimo ho da un po’ di meglio da fare . Ho letto eppoi ho continuato un a
viaggio ,parallelo ? Non lo so .🎶🍂⛈️