Troppi files aperti, memoria insufficiente. La tecnologia separa con efficienza ciò che si può fare da ciò che è desiderio. Nel primo pomeriggio il giornale allinea parole che esprimono pareri pronti a scadere, presunzioni impunite, prese di posizione che fanno da controcanto alla fauna verbale della politica. I gradassi, i resistenti, i tronfi, i delusi, le smargiassate accanto alle umiltà silenti. Oggi, nel silenzio dei futuri possibili, la questione è sul numero di ministre, sugli equilibri di genere. Tutto importante, ma in fondo le libertà eguali si vivono ogni giorno, sul lavoro, per strada, in famiglia, nella possibilità di avere davvero un curriculum che assomigli.
Non sminuire mai, anche se non è così che si vincono le battaglie. Il computer è riottoso, vuole semplicità che costringono a cancellare, così ci si stanca dello scegliere e semplicemente chiudo questo confronto di memorie. È così che si scivola nel sonno e i sogni del pomeriggio di domenica sono belli e insieme carichi di passato. Anche quello di oggi lo era, complice un distanziarsi da ciò che avviene appena oltre casa e forse un san Valentino che è da riscoprire. Il sogno è tornato in un periodo magico, quello del primo anno di università, le speranze, le infinite proposte della vita, i tempi che non distinguevano più tra giorno e notte, i desideri, le chiacchierate infinite.
Ognuno ha un suo ’68, le assemblee, il tutto possibile portato in un ambito domestico che spalancava finestre e caricava di energia nuova. I miei genitori, mia Nonna guardavano stupiti e preoccupati questo andare e venire, questo vivere così emotivo, carico di attese e quando presentai loro la ragazza che poi divenne mia moglie, credo si siano un po’ tranquillizzati.
Il sogno metteva assieme pezzi esatti di memoria, lavorava come fossi sveglio e aggiungeva sensazioni che non ricordavo più: inondava la memoria di emozioni, di parole scordate, di sole pomeridiano, di fatti piccoli che attendevano da tempo di uscire. E riportava i toni dei discorsi, la voce, in casa e fuori. Una memoria totale che si spiegava come una carta geografica del tempo ma limitata auna piccola sequenza di settimane. Mi svegliavo e ritornavo dentro alla memoria, una cosa bellissima e commovente perché era colma di persone e di affetti, di amore nascente e di amori consolidati, di attese e di voglia di fare, essere, divenire.
Nulla mi ha detto memoria insufficiente, cancellare i file superflui, perché nulla era superfluo e ho pensato alla superiorità dell’uomo che tiene in se una storia per ogni vita, che forma una immensa biblioteca che si rinnova, che lascia minuscole tracce di sé in mezzo a un infinito mormorare di altre trace e storia. E la sensazione che ci assicura il dna di essere unici si riflette in questo esserlo per davvero attraverso la vita. Così come è venuta e verrà, così come vorremmo fosse e come comunque la realizzeremo. Nostra e infinitamente ricca di futuro e di essere stati noi senza confronti, perché non esistono confronti nell’essere noi stessi.