C’era una sublime confusione d’acque spartite,
di procelle imminenti, d’infinite risate.
I pensieri vorticosi inghiottìvano dubbi,
girevoli porte d’hotel
che poi tornavano su te, su me,
nell’aria che sapeva d’ombra, di folla, di buono.
Si può amare molto un caffè imboccandosi il dolce,
e sommessi ridendo.
Sincronizzare il passo prima d’una corsa,
per scherzo e per bere il respiro dalla bocca,
per stringere più forte la pelle
e dire quel mio che luccica d’ acciaio.
Così nasceva e si compiva ogni giorno una parabola,
un razzo a solcare la notte e
una prua a dividere ciò che si riuniva
dietro noi,
perché non c’era un prima ma solo il giorno
e le stelle ad accennare una via.
Imprecisi come il vivere, dicevamo:
non ho mai chiesto alla rosa d’essere altro da sé,
e questo era in ogni parola, ogni carezza, ogni bacio.
Felici d’esser felici.
Bello, bello da far invidia. Di quella buona 😊
Credo sia un racconto molto parziale di ogni amore. 😉