Un sogno ricorre nella mia vita. E’ un sogno vero e ricordo quando l’ho sognato per la prima volta. Ero un ragazzo.
Nel sogno c’è un muro alto, fatto di pietre incastrate e tenute a calce, non c’è una porta e il muro è una circonferenza. Devo scavalcare per entrare, alcune pietre sporgono per questo e disegnano una diagonale sinuosa che si projetta sul terreno. Una spirale.
Nel sogno salgo, finché lo faccio mi guardo attorno, c’è campagna, qualche albero. A volte scorgo il mare.
Entro nel recinto. E’ il mio giardino arabo, lo sento, con le rose, i tulipani, le dalie, il verde uniforme dell’erba, alternato alla terra rossiccia e la sabbia bianca. Al centro una fontana con una polla, l’acqua trabocca e scende in rivoli. Si perde nel verde.
Mi siedo su un asse di legno, appoggio le spalle alla parete, guardo il cielo. Poi lo sguardo scende e si perde morbido, nel verde, nei colori delle cose.
Ho la percezione dell’equilibrio e della pace. Nel sogno è pomeriggio, verso sera. Posso chiudere gli occhi e riaprirli, e il pensiero scivola tra sonno e veglia senza distinguere. In tranquillità. Ho la sensazione di aver fatto.
La mia interpretazione è che l’orto chiuso è la fortezza di me, il desiderio e la sua soddisfazione avvenuta. E’ la mia misura, nel coltivare e contenere ciò che è prezioso al mio sentire. Nel cerchio trovo il dissolversi del fintamente importante, l’acqua pura scioglie il rigurgito del fondo archetipico, il nero che si trasforma, trascolora, diventa buono e compatibile. La bestia allora convive, corre assieme, gode delle stesse cose, ha lo stesso riposo. Si ricompone l’unità.
E’ un sogno che mi piace molto, purtroppo infrequente, ma so che accompagna momenti di passaggio, di movimento verso il nuovo. Quando mi sveglio sono sereno, un poco mi spiace perché vorrei che il sogno continuasse, sfumasse piano, ma non mi angustio, ho la sensazione che tornerà.
Penso che per aprirsi bisogna avere un recinto di sé, un proprio giardino arabo, che quella circolarità è contenuta in altre circolarità maggiori e che mentre queste si possono aprire, altrettanto serenamente il primo deve restare lo spazio costruito, vissuto, curato.
Quando sento l’inutilità del fare, l’affievolirsi della speranza, il senso del mio limite devo riportarmi nella cellula primigenia. Quella sola che mi contiene. Anche nella gioia è così, esiste un di più da assaporare, che mi appartiene e che posso cedere solo essendo me stesso.
Non ho fretta.
Nel mio scrivere di questo sentire, avverto il superfluo, l’eccedente, mi rileggo ed è come rifilare il bordo di una torta. Di quella che sarà una torta. Per ora è pasta cruda, buona da mangiare, ma diversa da quello che diventerà. Una torta non si racconta, si assapora, il giardino arabo è la stessa cosa, si descrive, ma il sapore è altrove.

E magari anche il sapore cambia continuamente nel movimento del sentire.
Spesso sento il tradimento delle parole quando con esse tento di fermare ciò che provo, ho provato, proverò.
Tutto si muove e cambia. Sempre.
Ciao Willy
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sai, Pass, penso che siamo noi a tradire le parole, che loro ci lasciano spazio e noi, per rassicurarci, vogliamo riempirlo. Scegliere il silenzio è parlare in altro modo, far emergere ciò che si prova a sé, poi se la cosa trabocca, metterla in comune, conoscendo già dall’inizio il limite.
Il sapore cambia, il ricordo del sapore resta, tutto si muove e noi scegliamo una direzione.
Ciao Pass
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Interessante!
Io invece,da ragazza, ma qualche volta me lo sono ritrovata in varie stagioni della mia vita,ritrovo un sogno chiaro solo per qualche dettaglio.Sono in Egitto.Forse a Tebe o forse a Gizah.Una scala immensa.So che su in cima alla scala c’è un trono sul quale siede un faraone o qualcuno investito da dei poteri,un’autorità in ogni caso,ma che non vedo.Dalle finestre intravedo il Nilo che cambia continuamente colore verdissimo ma qualche volta diventa persino rosso.Nelle sue acque si riflettono le piramidi,i piloni,qualche tempio scavato nella roccia.Nel mezzo della grande sala una bilancia d’oro.I piatti sono perfettamente bilanciati.Mi sveglio col batticuore ma con la luce di quel bilancere insieme a tanto giallo.
Chissà.Forse sin da piccolissima sono stata affascinata da quei misteri estrapolati da qualche libro sottratto di nascosto.Bianca 2007
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E’ vero che il sapore è altrove, ma la capacità evocativa fa magie. E tu ne hai appena fatta una… A presto, Es.
Ps: per il tuo “hortus conclusus” qualche verso di Attilio Bertolucci: “Bisogna rivalutare questo orto / recingerlo dove è aperto di rete metallica / azzurra” (da “Decisioni per un orto”).
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“Una torta non si racconta..si assapora” verissimo..ma chi ha mangiato torte non fa fatica ad immaginarne il sapore anche se non la morde.
Stupefacente il tuo modo di raccontare..basta un mucchietto di farina e ti vien fuori una deliziosa torta.
Una serena notte…magari nel giardino arabo.
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anch’io ho dei sogni ricorrenti, uno, in particolare.
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Ho qualche sogno ricorrente anch’io anche se non saprei trasformarli così bene in parole senza correre il rischio di snaturarli e trasformarli in quello che non sono.
Tra questi un sogno (chiamiamolo così, dai) che per fortuna non ricorre quasi più …
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