Sarà che è femminile l’accogliere, oppure che millenni stratificati di sopraffazioni hanno prodotto linguaggi oscuri agli uomini -ricordate la lingua inventata in Cina a corte per comunicare tra donne?-, o forse è semplicemente la riscoperta della solitudine comunicativa del maschio, comunque sia il mondo femminile parla tra omologhe e i maschi guardano dai vetri. E la parola invidia non è eccessiva se questo guardare, alimenta rivincite ed ulteriore sopraffazione. Le donne parlano tra loro e i maschi non capiscono cosa si dicono, si sentono esclusi da un mondo fatto di diversità cognitive, allusioni, presunte superiorità di sentimenti, fedeltà misteriose (a cosa?, a chi?, perchè?), intriso di pulsioni/passioni, di incongrui ritorni, sopportazioni infinite e ribellioni, di vissuti e presupposti vantati o reali. Un mondo a parte che a volte singolarmente, a volte in blocco si propone allo sguardo stupito, ammirato e perciò invidioso dei maschi persi tra le loro tecnologie, i sogni di conquista, di crescita, di singolarità. Ed alimenta, in chi capisce, ulteriori solitudini inquiete. Nella classifica di ciò che divide è più banale lo sport oppure le soap, è più importante il reality o il gf della politica, i sentimenti hanno tassi di sofferenza diversa a seconda del genere? Le misteriose malattie femminili, le mestruazioni, la possibilità di fare figli sono una barriera invalicabile alla comunicazione del sentire? E soprattutto danno capacità di differenze così ampie da escludere la possibilità del trasmettere sensazioni e condivisione?
In molti casi l’antidoto è la noia, il distacco, la supponenza. Oppure la decostruzione della superficie del problema, cucinata in salsa sociale. Io ti difendo e tu mi assicuri la discendenza, io ti alimento e tu mi curi, tu mi ami e io vivo di questo amore e dò senso alla diversità del mio. Il succo di molta letteratura coniugata sui due versanti è questo e il ruolo di chi narra è la banalizzazione del problema della comprensione, scavalcandola con le finzioni delle parole pontiere, per far comprendere che i mondi sono speculari, ma intrinsecamente comunicanti. Ed invece non esiste uno specchio che rifletta l’uno e l’altro, sono proprio due parti dello stesso giardino in cui valicare il confine malcelato, significa restare se stessi, epperò lasciarsi convincere che non si è perfetti in sè. Solo la poesia si imbeve del problema e lo risolve per lampi, creando mantra da ripetere nella solitudine del pensiero.
Ma alla fine resta la consapevolezza che bastarsi oggi non basta più.
LE DIVERSITA’
sono reali e restano incomprensibile al maschio,forse.Purchè non si pensi:”Io ho ingannato dei passeri,ma tu hai ingannato me” L’arte come la donna saranno sempre alleate nella fine furbizia.Bianca 2007
Beh, sai quanto sono sento il problema e quanto sia d’accordo con te.
E’ come se le differenze di genere, che pure esistono, divengano però sistematicamente la prima (e spesso, unica) chiave di lettura di ogni situazione.
Io credo che la incapacità di condividere in modo umile e paritario i pensieri e le emozioni (ed è una incapacità che colpisce indifferentemente uomini e donne) si mascheri poi volentieri dietro una cortina di sottili e speciose questioni ideologiche, di simbologie, di altisonanti questioni di principio.
Eppoi, lasciamelo dire, mi pare che le differenze di genere a sinistra vadano proprio di moda.
già Rob, proprio così…
Stavo per iniziare in un certo modo facendomene già un problema quando mi sono accorta che Rob mi ha fornito l’assist, in qualche modo.
Insomma, leggendo in silenzio questo e quello ho notato che gli uomini “left oriented” si pongono problemi che, dalle mie parti, si lasciano scorrere come acqua di torrente. Non è la regola, ma una forte tendenza, oppure io sono (io sono) il vero Willy il coyote che sulla sua strada incontra solo Beep Beep, cristallizzato in un cartone che, quando cessa di divertire, diventa tragedia vera.
Ovviamente condivido e sottoscrivo le tue sensibilissime parole, ammettendo, proprio per questo, di essere un po’ maschio. Oppure in una terra di mezzo che guarda qua e là senza sentirsi parte di niente in particolare. Che non vuol dire essere transessuali (mai la parola suonò più stridente) ma semplicemente fatte male, o solo in maniera diversa. Anch’io le guardo, le donne, sentendomene esclusa, a volte volentieri, a volte no. Perchè indubbiamente sono femminile per molti aspetti, ma maschia per altri. Maschia in certe preferenze, nell’indipendenza solitaria, nell’essere sfuggita a chi mi voleva relegata in un ruolo avendone pagato caramente le conseguenze. E l’unica volta che ho incontrato uno che mi pareva diverso, e quindi meritevole di adorazione, sono stupidamente scivolata sul peggiore “manierismo” femminile, lasciandomene travolgere.
Non ci si basta mai, Willy, anche quando si finge di aver imparato a bastare a se stessi.
sarà che mi girano per altre cose, ma ti dico.
in tutto ‘sto cià cià della solidarietà femminile, a volte è più in rugo che il sugo. le regole del gioco, le regole del club, sono così difficili che tutto ‘sto sforzo non vale, a volte, la pena. non per chi come me ha troppi spigoli da smussare e, sarè pure una penosa alzata di immotivato orgoglio, un cervello che talora si accende.
penso che sia esattamente lo stesso bidone del cià cià delle maschie amicizie virili (o della maschia autosufficienza virile, il mito che preferisci).
è che nel momento in cui ti schianti in un ruolo, niente… ti sei schiantato, detto tutto.
tenere le antenne alzate e non chiudersi negli accoglienti veli del proprio ombelico è difficile per le donne quanto per gli uomini (la differenza forse è che obiettivamente gli uomini vengono molto spesso cresciuti come se questa fosse cosa buona e giusta… ma non divaghiamo… 🙂 )
e perchè la diversità dev’essere necessariamente guerra o superiorità? le donne sono diverse si, anche. e allora? pure i maschi lo sono, diversi.
le donne hanno altre storie, le raccontano in altro modo, vivono situazioni assolutamente specifiche della propria razza, come le mestruazioni o la maternità , che sono difficilimente comprensibili al genere maschile. infatti, non dimentichiamoci la diffidenza maschile verso quel sangue, il ritenerci impure, portatrici sia di vita sia di morte.
piano piano, almeno in una società occidentale diciamo avanzata, le donne si distaccano anche da quello che dici tu : la continuazione della specie, il mantenimento della prole, l’educazione, può anche non passare tramite l’unione matrimoniale.
il maschio non assicura più niente.
se mai l’ha fatto nella realtà.
è sempre quel guardare in modo diffidente tutto ciò che ci appare strano che ha creato problemi.
con-dividere con un uomo è scoprire pensieri diversi, punti di vista alternativi, ed è una ricchezza.
ma solo un uomo si poteva inventare l’invidia del pene.
buona giornata a te.
minnie-che-è-una-donna-consapevole-di-esserlo.
leggo e medito, ho poco da aggiungere. a volte c’è molta differenza, sì, tra uomini e donne, forse è proprio in questo che sta l’attrazione, e l’incomprensione, va da sè. io credo che anche le donne a volte non cerchino di capire il modo degli uomini, molte sono convinte che la loro sia l’unica visione “giusta” del mondo e dei rapporti. devo dire che spesso questa visione femminile delle cose mi sembra opinabile, a periodi preferisco la compagnia degli uomini, mi sembrano più semplici e più affini, a volte anch’io mi sento esclusa dai cerchi femminili.
comunque non ci si basta, no, certo. nessuno basta a se stesso/a, siamo fatti per vivere con gli altri, per condividere, e secondo me se si trovasse un individuo dell’altro sesso con cui poter essere se stessi e condividere e raccontare, quella sarebbe la perfezione.
mi sono piaciuti molto questi tuoi pensieri e il filo conduttore che ci trovo è proprio la riflessione sulla banalizzazione del comprendersi, come scrivi tu. La suddivisione in ruoli che la ‘normalità’ sembra imporci non ci esaurisce come donne e come uomini e come donne e uomini in relazione. Ogni persona che porti un racconto di vita lontano dalla cosiddetta ‘norma’ dice chiaramente quanto la norma scricchioli e sia insufficiente a contenere tutte le molteplicità. Le coppie ‘diverse’ rimescolano i ruoli, ne inventano altri, conoscono loro stessi e l’altro in modo inedito ed allora mi chiedo: quanto ci si perde di noi stessi e della relazione con l’altro quando ci si cala nella ‘normalità’?e si indossano pensieri come fossero berretti di lana e si lascia che questi pensieri prefabbricati muovano le nostre azioni? E’ facile banalizzare il comprendersi e, come scrive Rob, usare facili chiavi di lettura. Ciò che siamo spesso si trova oltre confini che esistono solo per abitudine o che sono mantenuti solo per paura dell’incertezza di non trovare preconfezionato un pensiero o una definizione a quello che si sente o si vive con l’altro.
Cristina
p.s. a che poesia pensavi scrivendo le ultime righe?
Cara Cristina, la poesia per me è fatta di frammenti e legami strani tra i poeti, quando scrivevo c’era una poesia di Montale e questo frammento che girava nella testa.
“Ho tanta fede in me
e l’hai riaccesa tu senza volerlo
senza saperlo perché in ogni rottame
della vita di qui è un trabocchetto
di cui nulla sappiamo ed era forse
in attesa di noi spersi e incapaci
di dargli un senso.”
Ma c’era anche Caproni:
Bruciamo la nostra distanza
Bruciamola, mio nome.
Cessiamo di viverla come
il sasso la sua ignoranza.