Una tenerezza infinita

DSC04253Una tenerezza infinita per quello che eravamo stati, per le nostre difficoltà superate, per quelle messe da parte. Un perdonarsi l’insufficienza, l’inadeguatezza a ciò che era nostro e che era stato seppellito sotto cumuli di dover essere. Forse era tardi perché emergesse davvero, perché avesse quella funzione di cambiamento delle vite forte e radicale, ma già sapere che eravamo stati, mettendo in fila i giorni, le molte felicità che avevano fatto la differenza, ci diceva che era bello aver vissuto assieme.

C’era una lunga sequela di piccoli errori da perdonare con la tenerezza infinita di chi si è padre e madre, e se ci riconoscevamo in ciò che eravamo adesso era solo per questo riconoscersi negli errori, nella difficoltà, nel quotidiano così nostro, in una crescita che non era mai finita. Era un quieto parlare al soffitto, alla notte, al buio che dentro aveva una luce piccola e forte. E questo raccontarsi come si era stati davvero, e come non c’era mai venuto di raccontarci prima, veniva fuori come un flusso di vita che raccontavamo a noi stessi. Ci bastava ed era nuovo, no?

 

op.111

Che fanno i vecchi pianisti, quelli grandi mai davvero,

sulle tastiere ingiallite dei pianoforti un po’ scordati?

Accarezzano i vecchi strumenti, le carte un tempo amate, 

sui tasti cercano note sempre udite e mai trovate,

e suonano guardando il dorso delle mani, 

mentre si raccontano segreti d’un momento antico:

teatri, applausi a terza uscita, silenzi prolungati.

Spesso così si fermano nel silenzio che vibra dopo il tasto,

perché i vecchi pianisti sanno il suono delle note,

non quelle dei loro pianoforti, mai davvero soddisfatti,

ma quelle udite nel silenzio, guardandosi le dita.

Sono vecchi amanti che serbano memoria

di mani e baci, della tenerezza di ciò che forse è stato,

come il sapore di quella nota che hanno sempre udita,

di quel silenzio che non hanno mai trovato.

è allora che il cuore respira

Ci sono momenti in cui la grazia o la tenerezza (o la bontà, ma il discorso si farebbe lungo) d’un momento, sembrano sospendere l’ordine usuale delle cose. Che poi tanto ordine non è, ma condiziona così tanto le nostre vite da renderle infelici. In questi momenti emerge la possibilità che il mondo, il nostro mondo, sia altro, come quando una consapevolezza improvvisa, una stanchezza da troppo tempo ricacciata, fa emergere il basta, quel basta che e’ riconquista di noi, di un futuro che irrompe nel presente e per una volta, non piega noi, ma spezza una sequenza che sembrava incoercibile di logica, di necessità, di comodo star male.

Insomma qualcosa che spiazza il procedere segnato dell’esistenza ed apre uno squarcio da cui si intravvedono colori: l’azzurro, il bianco d’una nuvola, il nero che torna ad essere pavimento su cui camminare, una lieve inquietudine d’aria chiara. 
Attendere l’inatteso procura soddisfazioni e piccole svolte che non si narrano, ma esso, è condizione d’animo oppure un regalo che non si dovrebbe rifiutare.  E bisogna pur sapere che dopo ch’e accaduto, la mano è più leggera, prende con gli occhi quello che vede, se ne ciba nei pensieri e canticchia musiche speciali. Tutto come sempre e come mai prima.

E’ allora che il cuore respira.