Penso a quello che ci diciamo, a come cerco di capirti nel profondo, e a quanto bello sia questo profondo, ma anche limitato. Ci accontentiamo del molto che ci scambiamo, perché c’è un limite.
Penso a come in qualche momento della storia dell’evoluzione si sia perduto il naturale accesso al profondo -e la telepatia, forse- e si mostri la superficie, anche nell’intimità di un comunicare. Come questo sia il prodotto di ragionamenti fatti chissà quando, di modi di pensare neppure nostri, di convinzioni che si sono via via formate con la nostra storia. Ci mostriamo come ci siamo -e ci hanno costruiti- con tutta la fatica del caso e ci pare d’essere nudi, ma occludiamo gli accessi al caos che conteniamo.
Scambiamo fotografie, immagini, ma oltre l’involucro dell’identità apparente, cosa c’è?
Sotto c’è ciò che evolve, il magma che prende e si stupisce se entriamo in contatto con lui, energia vitale che acquista forma nuova, e genera cambiamento. Nuovi modi di vedere, di sentire, forma e concretezza alle passioni, desideri attuati e accantonati, forza che scardina principi che poi tali non erano, genera nuove abitudini. E c’è la paura che il cambiamento ci provoca. Insomma è la vita che muta. E tutto questo è insofferente ai nostri limiti faticosamente costruiti, squarcia la roccia delle convinzioni, mai davvero meditate, e mostra l’azzurro.
Ma noi davvero vogliamo il nuovo e l’azzurro? Forse, in qualche momento di sconsiderato coraggio. Penso che normalmente si debba vivere seguendo il proprio deimos. Allegro, o triste che sia, e restare in consonanza con lui, che essendo il nostro deimos, sa cosa ci fa bene e ci conduce. Per questo devo capirlo, e accettarlo.
Tutto questo avviene poco sotto la superficie che definisco la mia nudità e, pur essendo il deimos già più profondo di ciò che mostro, non è lui il magma. In esso entrambi ci rigeneriamo e troviamo unione vitale. Qualche volta accade. E’ difficile, lo so, anche dirlo, il profondo non ha parole, non si comunica.
