Guardo con attenzione, conosco, e vedo nei volti, la traccia della vestizione prima di un concerto, di una serata particolare. Conosco la camicia che scivola sulla pelle, il colletto aperto, le mani che frugano nell’armadio, indecise tra abiti che apparentemente si somigliano. Pensieri di accordo e di armonia, poi la scelta. La stoffa che non ha l’abitudine usata del corpo. I calzoni indossati e l’insieme che inizia a comporsi. Una cravatta, il nodo. No, non va bene, serve morbidezza. La stessa pretesa dai tessuti che si deve sposare con il sentirsi. La giacca, uno sguardo alla combinazione con la cravatta. Un ripensamento e un cercare tra i colori, le righe o i disegni: trovare il tono proprio nella serata. Sarò così, quel colore, quelle righe, quella punta di contraddizione e differenza, non voglio essere scontato o ripetitivo.
Infine tutto ha forma e si accorda con lo star bene. Che non è ciò che vedranno gli altri, ma come ci si sente. E guardando poi chi sta attorno, si vedrà, oltre i visi, i gesti, ciò che ha preceduto questo mostrarsi. Si riveleranno i caratteri sommari, la generosità o la taccagneria del sentire, il conformismo e la voglia di stupire, l’affermazione che non ascolta e la disponibilità al dialogo. Tutte variazioni sul tema della morbidezza, dal ruvido all’estenuato. Emergerà il gusto, la sicurezza e il suo contrario, la sensualità delle donne, il ritegno, il voler dimostrare degli uomini, la richiesta di approvazione esplicita. Il risultato della vestizione rivela molto più di quanto voglia sembrare, di rado è una maschera. Di rado non lascia trasparire, indica e suggerisce ciò che si è, e si è pensato, per comunicare ciò che pensiamo di noi stessi.
La prova di un concerto e il concerto sono una metafora e assieme la rappresentazione di ciò che significa armonia, accordo, vestizione e comunicazione. Chi ascolta, al tempo stesso mostra sé e omaggia ciò che gli viene donato.