la tentazione

C’è un’Italia che potrebbe dire ho già dato. Io faccio parte di quest’ Italia. Non è una minaccia, è una semplice costatazione di inutilità. Il mio pensiero è : non capisco, anzi non voglio più capire perché ho capito abbastanza. Mi sono fatto carico, sono stato responsabile, eppure non ho capito, non i problemi, quelli erano abbastanza evidenti, ma i miei vicini di casa, città, Paese, che dovrebbero risolverli con me. Anche i guerrieri tornano a casa, non solo i generali. Il teorema è: se torneranno a casa tutti i politici così esecrati (e neppure tanto visto il risultato di Berlusconi) ci sarà il nuovo. Il nuovo, così affascinante, liberatorio, il condono tombale sulle colpe di omissione, di disinteresse, di non aver scelto mai per un cambiamento stabile, ci salverà. Ebbene, non sono adeguato a questo nuovo immemore e se l’ho già fatto una volta di uscire dalla politica in prima linea, lo posso fare ora a maggior ragione, visto che non ho più incarichi importanti e responsabilità collegate.

Bisogna far spazio, lasciare ad altri, ancor più adesso che la confusione aumenta e la lotta non è tra vecchio e nuovo. Non credeteci, non è questo il terreno di scontro, quello vero è il confronto tra un futuro difficile e vecchio e uno illusorio, ma nuovo.  Il futuro difficile è avere la propria identità in un mondo in cui gli spazi di libertà sono drasticamente ridotti dalla globalizzazione dell’economia e della finanza, dove le politiche degli stati devono assomigliarsi nella generazione del pil, dove gli uomini sono oggetto di luoghi comuni e di felicità programmate. Uscire consensualmente da tutto questo,  senza spegnere il frigorifero sine die è cosa difficile, ma non è impossibile, solo che ha bisogno di tempo ed è davvero poco affascinante. Però la domanda di quanto del nostro sviluppo risenta da questo inseguire un benessere fatto di cose e denaro e come questo generi poca felicità (termine abusato e spesso confuso con il benessere), c’è anche tra chi persegue il futuro difficile. Ma alla fine sono (siamo) noiosi e speso tristi, insomma poco appetibili.

Altra risposta ai problemi attuali, è quella che considera l’alternativa radicale dell’uscire dal mondo così com’è, come scelta di massa: sviluppo zero, eliminazione del passato, moralità della politica (un po’ meno di attenzione riceve quella collettiva e personale). Questa alternativa la possono predicare bene i milionari, fanno più fatica gli altri che sono ancora alle prese con un posto di lavoro, con un reddito che consenta la dignità, con un futuro che, pur precario, abbia in sé una qualche stabilità.  Ma mi rendo conto che sono parole vuote, non ce l’ho con nessuno, al più con me stesso, per non aver capito per tempo che era fatica inutile. Devo anche dire che neppure mi diverto ad aspettare il cadavere del nemico, sta arrivando la buona stagione, i campi, il mare sono così ricchi di colori che non guardarli per chiudersi nel brucior di stomaco dell’ aver ragione è davvero una perdita di tempo.

Se non si partecipa non se ne accorgerà nessuno, non è triste pensarlo, è solo realistico. Bisogna vivere, guardarsi, oltre che guardare, sentire ciò che ci fa bene. Allora il gioco può non divertire più, si buttano le carte e si sceglie un altro gioco. Per chi può farlo è buona cosa e gli altri? Cazzi loro.