luci rosse a destra, bianche a sinistra

Inzuppo la sera incipiente dentro uno spritz. Campari senz’acqua per favore. Attorno rumori di blu elettrico: mettendo assieme tutte le speranze verticali delle tre lauree che festeggiano si raggiungerebbe il cielo.

In queste sere, dopo la pioggia, è meno bagnato il fiume dell’aria che trattiene le risatine nervose, che spampana gli occhi  sul primo maglione leggero, portato con arroganza senza reggiseno. Nel tavolo a fianco, il venditore di pop corn, s’è seduto, stanco, con il dorso della mano ha spazzato le gocce di pioggia dal piano ed adesso si sta bevendo l’incasso. 

Delle sere di settembre bisognerebbe serbare memoria per i giorni in cui la luce scema, tenerne dentro l’equilibrio instabile, la tristezza non ancora sbocciata, le grida dei ragazzi, la sorpresa d’un caldo di scirocco che accarezza il viso. Bisognerebbe, ma non si fa scorta di medicinali utili e la malattia del vivere è furba, si nasconde in interstizi di stanchezza, fa stropicciare gli occhi tra una scossa di vita e la successiva, ma non si lascia prevedere.

Siamo bevitori all’osteria del vivere, gourmet sorseggiatori, queruli affabulatori che tessono ponti con il vuoto, silenziosi malati di sentimenti usi a bere a garganella, testimoni sapienti alle spalle dei giocatori. Se guardi attorno provi la sensazione della marmellata appena fatta che guarda il tappo che si chiude: quando ne uscirò? Per questo serve il cielo di settembre e la sensazione che il tempo mal usato sia uno sputo, solo maleducazione, ma che oltre ci sia ancora qualcosa.

Pensa, la speranza la chiamano fede e così si confondono le idee.

Verrà ottobre, il rosso invaderà i colli, ogni quadro nelle Gallerie dell’Accademia sarà smorto al confronto, eppure questa rincorsa del vero è servita a fermare un ricordo buono per un tramonto.

Tieni la rotta nel tempo, guarda le foglie che s’accartocciano in fretta, trai auspici, presagi e conseguenze, ma conserva un barlume del senso d’essere mondo prima che uomo.

Per questo e molto d’altro, tornando a casa, la sera cala in fretta. A destra le luci rosse, a sinistra le bianche. Ieri sera, dopo la pioggia violenta, c’erano scie di semaforo sull’asfalto e m’incantavo a guardare pennellate sgranate di luce finché ho alzato gli occhi ed uno spettacolo di rosa con nubi grigie riempiva il cielo. I piani alti dei palazzi, i colli azzurri e netti sullo sfondo, l’aria, erano tutti dipinti ed immobili nella luce rosata. Solo noi, nei canyon tra le case, eravamo nel primo buio d’asfalto e fumi. 

Luci rosse a destra, bianche a sinistra, lenti, quasi fermi verso casa.

Per questo bisognerebbe serbar memoria.