Ascolto Strauss, che accettò Hitler e ne trasse vantaggio. Ascolto gli ultimi lieder, ed è tangibile la sua malinconia di fronte alla fine del bello, della cultura tedesca sotto i bombardamenti, della vita. Sento che questa malinconia comprende cose e uomini assieme. Ciò che c’era non ci sarà più, nessun nuovo compenserà l’annientamento. Eppure era chiaro, insito fin dall’inizio che il reich avrebbe distrutto oppure sarebbe stato distrutto. Perché Strauss non vide? Ascolto il suo stupore dolente di essere stato privato della vita consona al genio, ma della vita altrui perché prima non è importato? Per convenienza, o incapacità, anche l’arte diventa cieca e i grandi cadono in misere pozzanghere. Resta arte, anche se proviene da chi non capì o non volle capire, e perse poi (l’arte dei vincitori non ha problemi)? Sì ma così si rivela il limite dell’arte, la sua imperfezione e approssimazione. Il genio non muta, ma si stacca dall’uomo quando non vede la realtà nel suo divenire (uno scopo dell’arte è cogliere il muovere della storia e l’assoluto insieme) e si induce al compromesso, alla connivenza. Perde la purezza in cambio del potere e del denaro. Non sempre e non tutti, ma è forte l’attrazione del successo, dell’adulazione e dell’assoluto per decreto. Ed è il limite dell’arte che nasce dall’uomo: l’uomo stesso. La natura non ha di questi problemi, frequenta il reale e l’assoluto, assieme.