l’anno che viene

Sono numeri, eppure dicono molto. Parlano di bambini, donne, uomini. Speranze, vite, diritti negati. 116 affogati nell’ultimo naufragio prima di Natale. Condannati dall’indifferenza e poi cancellati dall’informazione.
Lo stesso accade a Gaza con centomila corpi sopra e sotto le macerie, e i vivi nel fango, nel freddo, senza acqua, casa, cibo. Vengono rimossi persino dai pensieri dell’occidente. Anche dai nostri pensieri.
Eppure il loro grido di dolore chiede attenzione, protesta, lotta.
Possiamo fare un augurio che non li ricomprenda, che riguardi solo noi e non che finisca l’ingiustizia, l’inumanità dei governi e di chi li sostiene?
Possiamo augurare la pace senza perseguire la pace?
Possiamo sentirci sicuri nelle nostre case, soddisfatti delle nostre vite se non guardiamo all’umanità che viene massacrata nel silenzio?

Raafat Alareer (1979-2023) poeta e intellettuale di Gaza, ucciso da un raid mirato per spegnere la sua voce, pochi giorni prima di morire, scriveva alla figlia, versi di speranza, perché il mondo deve cambiare, deve ritornare a vivere senza paura.

Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po’ di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell’attesa che suo padre
morto all’improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore
Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia una storia!

Siamo creatori di speranza se la costruiamo, lottando per essa.
L’anno che viene facciamo che sia nuovo davvero, rinnoviamo il nostro giuramento sull’umano e I suoi diritti. Le nostre famiglie, il nostro mondo avrà continuità di lotta e una possibilità di cambiare.

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