impossibili kintsugi

6 pensieri su “impossibili kintsugi

  1. Non c’è felicità senza pace, la mediazione è una via di felicità.

    Già nello scrivere mi commuovo, perché conosco sento- penso alla delicatezza e alla fragilità dei fatti umani che si incontrano nelle relazioni personali, di coppia, familiari, lavorative, sociali .

    “L’arte” del mondo orientale è volta all’uomo e a tutti gli esseri viventi , alla Terra in questo l’umano si ridimensiona cerca e trova l’ equilibrio , mi affascina e mi rasserena.

    Attraversare un momento difficile, e soprattutto mostrarne le cicatrici dopo, ci provoca vergogna.nella mentalità consumistica nella quale siamo immersi

    Qualsiasi crepa nel percorso verso il traguardo è vista come un fallimento, una debolezza, un ritardo.

    C’è un orologio sociale che tenta di prevaricare costantemente il nostro orologio personale, tentando di annientare ’autenticità.

    Resisto e continuo per il mio cammino , le considerazioni vicine e lontane scivolano via ,rientrare in sé e con la pace dentro cercare di mantenere la pace .

    Grazie Roberto, questo tuo articolo mi ha chiesto tempo, quello della calma. Le decisioni importanti chiedono il tempo che è e che ha memoria .

    .Per motivi contingenti , in questo sono impegnata e va bene così il tempo ora è qui . A presto 🌱☺️🥀🥀🥀

    Piace a 1 persona

  2. Grazie Francesca per questa riflessione, porta verso la calma e la sua azione bella anche quando c’è movimento. Un costruire e un riflettere sul vivere. 🤗

    "Mi piace"

  3. Il tuo pensiero è lucido, disincantato e allo stesso tempo profondamente umano. Mi colpisce la tua capacità di cogliere la dinamica silenziosa della separazione, quel processo quasi impercettibile in cui qualcosa smette di funzionare non per un evento improvviso, ma per l’accumularsi di non detti, di percezioni mutate, di fatiche taciute. La tua riflessione porta con sé un grande senso di responsabilità: non c’è un destino che decide per noi, siamo noi a decidere, anche quando ci illudiamo di non farlo.

    Mi soffermo in particolare su ciò che dici sulla fatica: amare, comprendersi, restare, è un impegno. E spesso è proprio la difficoltà a esprimere questa fatica – e il timore di non essere compresi – a rendere irreparabili certe incrinature. Forse perché ammettere la stanchezza sembra un segno di debolezza, mentre in realtà è l’unico atto di verità che potrebbe cambiare il corso delle cose.

    L’immagine dell’abitudine come un sipario che nasconde piuttosto che un kintsugi che ripara è potente: spesso si crede che resistere sia un valore in sé, ma a che prezzo? A volte l’abitudine non è una scelta di maturità, ma solo una rassegnazione travestita. E qui tocchi un punto essenziale: il vero fallimento non è lasciar andare un progetto che non regge più, ma ignorare la possibilità di costruire qualcosa di nuovo, fosse anche dentro di sé. Il dominio, l’arroganza, come dici tu, non falliscono perché non creano nulla, ma il costruire implica il rischio del crollo. Eppure, è l’unico modo per avere un futuro.

    Leggendoti, mi viene da pensare che forse il vero atto di coraggio non è solo ricucire, ma anche avere l’onestà di riconoscere quando qualcosa non è più recuperabile. Non per deresponsabilizzarsi, ma per scegliere, questa volta davvero.

    Piace a 1 persona

  4. Comprendersi è un impegno e una fatica. Reciproca, perché la sensazione di non essere compresi erode un rapporto, rende grandi le fratture che potevano essere superate. E parlare, dire la propria difficoltà diventa impossibile se si pensa che essa non verrà compresa. Quando è ancora possibile e si avverte il disagio, lo sforzo è duplice:quello di una verità interiore che riconosca se il rapporto è recuperabile accompagnata dalla verità esteriore del raccontarsi. Hai ragione, se non si può recuperare una relazione bisogna avere l’onestà del riconoscerlo. Grazie per la tua analisi che condivido molto e mi fa riflettere.

    "Mi piace"

  5. Riflettendo con la mente meno stanca (forse rischiando di contraddirmi) aggiungo che paradossalmente, è proprio quando ci si sente meno ascoltati che bisognerebbe parlare di più. È l’unica via per non perdersi del tutto, anche quando il recupero non è possibile perché forse la vera onestà sta nel non rimanere fermi: nel parlare finché ha senso, nel riconoscere quando smettere non è fuga, ma rispetto per ciò che si è stati. – Il dialogo è un rischio così difficile da correre? Pensa anche a questa eventualità ma solo tu conosci la tua storia e gli altri, con i loro consigli, non faranno che basarsi sulla loro.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.