





Con il malfermo senno degli anni, vorrei che ottobre fosse ancora un mese gonfio di promesse, profumi e stile.
Lo stile è il dialogo interiore che si mostra e che scrive, pensa, passeggia, ma sempre a suo modo.
Ho un dialogo per capello, con l’età il cervello si è fatto diversamente ciarliero. Adesso i capelli sono pochetti, ma sufficienti a far confusione. Lo stile non è confusione, bensì una precisa opinione di sé. Nasce dal sentirsi, dal dipanare e trovare il bandolo. Esiste sempre un bandolo e un bandolero (stanco), Jannacci ci parlava del Messico che ci accompagnava e noi lo ascoltavamo attenti.
Il primo ottobre venivamo condotti a scuola, poi più grandi si andava ed era libertà, ma prima era un consegnare intelligenze e attenzioni alla disciplina e al sapere. I nostri genitori si fidavano. I banchi erano altissimi, incrostati di ferite e di storie passate. Erano passati per quei banchi, ragazzini diventati uomini, poi padri. Anche mio papà.
Il primo ricordo sono le lacrime per una mano che lasciava la mia, un portone enorme e marrone (mai è passato per la testa dei direttori delle scuole del regno che il marrone è un colore guasto e che un colore luminoso avrebbe reso leggero l’edificio e ciò che avveniva al suo interno) che si chiudeva per un indeterminato tempo.
Il secondo ricordo è l’odore dell’inchiostro, sarebbe diventato una droga che creava dipendenza e macchie. Eccellevo nelle seconde. Per le macchie qualche volta piangevo, altre volte mi fermavo ad ammirarle, con quelle curve perfette, quei bordi merlettati. Dipendeva dalla carta, certo, ma la macchia aveva in sé un disordine creativo, una ribellione. Chissà se Rorschach lo sapeva della carta e delle macchie che cambiano. Comunque ci guardavo dentro e immaginavo: Rorschach l’ho scoperto così, oppure lui ha scoperto me.
Bella cosa essere scoperti dalla persona giusta. Accade quasi mai.
Si era appena arrivati a scuola e subito si festeggiava Cristoforo Colombo. C’era un’immaginetta di lui, in piedi con la bandiera, che riceveva da indigeni piumati e ossequienti, oro e omaggi. In cambio il nostro Colombo elargiva civiltà, benedizioni e collanine di vetro. Con quel mantello corto, i calzoni con lo sbuffo, il corsetto, sembrava il mago Zurlì, mentre gli indigeni, pur rivestiti quanto bastava a marcare la differenza e a eliminare il nudo, sembravano più interessanti e pieni di stile. Non sarebbe stato meglio se fossero stati gli indiani a scoprirci? A me non sarebbe piaciuto essere scoperto da Colombo, e mentre meditavo sulla necessità di essere scoperti da una persona piacevole, mi scopriva il maestro. Vedeva che ero distratto, che parlottavo tra me e facevo disegni con le macchie. Le raffinavo. Cioè conformavo Rorschach a me. Il maestro non conosceva la psicologia del ‘900 e la cosa finiva in una domanda secca: cosa stavo dicendo? E ci attaccava il mio cognome, con una lieve indecisione sulla pronuncia.
Nel mio cognome l’accento fonico va sulla prima vocale non sulla seconda, prima dell’ultima sillaba. Mi pareva di sentire il dubbio fugace, in quella testa grigia, così piena di cose da insegnare, ma pure di fatti suoi che erano come i miei, extrascolastici (però i suoi contavano di più). No, va proprio sulla prima vocale, tout court, e lei lo pronunciava alla tedesca. Non potevo dirlo, ma io il mio cognome lo conoscevo bene.
Finiva sempre male, note su note, sostanzialmente sinfonie alla disattenzione da far firmare e si confermava che l’essere scoperti dalla persona sbagliata non era cosa buona. Allora non lo sapevo, ma gran parte della vita si passa ad attendere di essere scoperti dalle persone giuste, dalle situazioni giuste. Ma per essere scoperti bisogna saper vedere, discernere, cogliere ed essere sufficientemente disponibili e curiosi. Quel tanto che basta per capire che c’è un dentro e un fuori e il fuori non è, per sua natura, ostile, ma spesso è indifferente, poco giusto per noi, e neppure comprensivo. Il fuori ha fretta e poco stile, arraffa quello che c’è, senza creanza. Lo divora, si chiama il presente, qualcosa di traballante esistenza, per darsi un tono, ma è uno screanzato, però dipende anche da noi. Il fuori è influenzato dallo stile. Piccola verità prêt à porter. E allora facciamo in modo che la giornata, il mese, abbia la possibilità di scoprirmi e che scopra i tempi giusti, gli attimi colti.
Avete mai considerato che gli attimi sono colorati, mai grigi? Grigie sono le ore di inutile consapevole, attesa. Così di attimi ne colgo un bel po’, ne faccio un mazzetto e li guardo col giusto rispetto, amore, considerazione.
Tema: completare il cogli l’attimo col suo significato.
Traccia di svolgimento: rispetta il desiderio che gonfia il consueto di promesse, scopri la persistenza del bello che include e non svanisce, trova un ordine che nessuno conosce.
Anche questo è stile.
Buon primo ottobre.
Il mio mese di nascita, ci mancherebbe che fosse privo di stile 😁
Ma scherzi a parte, sto meditando sulla tua conclusione (oltre alle macchie)…molto bella Willy.
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Allora ottobre è un mese felice, Mimì.
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Buon ottobre anche a te e grazie del bell’articolo.
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Buon ottobre Marina. Grazie 😊
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