Non ho una poesia dell’alba,
forse s’è consumata
appresso nell’ umida notte.
La prima luce ha liberato,
l’aria impregnata
di buio e calore mischiato,
e il possibile tenero
nel primo accenno di chiaro.
Il mezzogiorno è scivolato sul corpo,
Indagando distratto le curve, la pelle,
il legno di barca,
del colore da scrostare.
Sorrideva della sua forza,
del sudore radunato dall’aria
con vapore d’acqua,
e chiazze di sale.
La nudità s’è persa
nel biancore accecante,
nella luce diritta,
sui casti corpi offerti
al mezzogiorno
che succhia i pensieri
dal nulla dentro disciolto.
L’ombra ha disegnato il pomeriggio,
nel suo silenzio
preciso e mutevole,
che quieta l’ora del rimorso.
Il nulla segue il desiderio,
soddisfatto d’indicibili stranezze
è un cane affettuoso,
immagine d’un compiuto senso,
il mio, messo da parte.
Impotenza del giorno,
fumo e vino spanto,
dopo l’ansia di carezze,
e il travaso d’un nulla
nella luce spenta dalla notte.
Come i pomeriggi d’amore,
stropicciati dal sudore,
e inghiottiti dalla sera.
Gli umori sono equità divise,
spartite tra noi,
bevute con furia
e già senza traccia.
Cosi si spengono le ore,
e ritardo il passo, la casa, me.
Nella notte non credo più a niente,
nella notte ho paura
vedo i papaveri bruni nell’erba
Il rosso che racconta il giorno
e la notte dispera.
Attorno tutto è preciso,
le cose si ergono mute,
si spegne il clamore
e ciò che è fatto ha un senso
che ora chiede conto.
S’aggruma il nero,
gocce di mercurio i pensieri,
è umidità che scivola l’erba,
piega gli steli,
e raccoglie l’afrore di piante assetate.
Il mio è il sonno dei marinai,
che chiudono gli occhi
mentre amache vuote
dondolano in attesa
di casa, d’un sogno sognato,
d’una carezza scordata.