All’imbrunire il sole gioca con i vetri e secondo le regole esatte della rifrazione, spedisce i raggi a illuminare l’ombra.
E combina guai, perché la piccola merla ha inseguito il raggio tra i fiori che volano nel vento, fino a sbattere contro la vetrata del giardino. Un suono sordo, neppure un grido ed è a terra. Ogni anno milioni di uccelli si rompono l’osso del collo contro le vetrate dei grattacieli in ogni città del mondo, ma qui siamo al piano terra e la minaccia maggiore è l’interesse immediato di un gatto certosino che pregusta una caccia senza fatica. Gatti da casa, da crocchette, che scappano facilmente ad un batter di mani.
Intanto la merla agita piano le zampe, l’occhio aperto mi guarda. Forse si chiede cos’è accaduto e se quell’intontimento è la fine oppure un momento che passa.
Qual è il tempo degli uccelli, come scorre e come si misura se non attraverso le necessità vitali: mangiare, cantare allegri o tristi, riprodursi con piacere, cercare di costruire qualcosa che duri il necessario. Un vivere senza regole che non siano legate all’istinto e al conoscere. Non credo che la merla pensi a tutto questo mentre ancora sta rovesciata sulle ali e mi guarda senza timore.
Chissà cosa vede di noi, un uccello. Una testa e un corpo giganteschi, animale strano, poco offensivo nel mio caso, accudente di briciole mattutine, ma non credo che ci sia altro interesse oltre la stranezza e la possibile offesa.
Il gatto gira al largo e attende che mi tolga di torno, la merla tenta di capire come sta e con discreta fatica si gira per portare le zampette al suolo. Ma ancora non si muove, resta ferma, a lungo. Un tempo che per lei dev’essere il necessario, poi quando ho avvicino la mano per prenderla e portarla sull’albero, mi guarda e con un frullo d’ali vola oltre la siepe. Là dove ci sono nidi d’uccelli ed è difficile per i gatti penetrare l’intrico dei rami. Ha fatto un paio di versi con il becco aperto, forse a schiarirsi la voce e a ringraziare la vita che continua nella sera. Tra l’erba, margherite e fiori di pero, un punteggiare di primavera che l’aria diffonde.
CANTO DEI FIORI DI SALICE
Lievi volano
non portati dal vento.
Lievi cadono
non sfiorando la terra.
In ridda confusi, danzano
nel limpido spazio:
sì che libero vaga
il mio pensiero.
Liu Yu-hsi
da venti “quartine brevi” cinesi del periodo T’ANG
Sansoni Firenze 1954