Quando la luce abbandona le cose, qualche vaso interiore improvvisamente si vuota. Allora particolari che la luce occultava per poco risplendono, poi si ritireranno sdegnosi, ma intanto lasciano un senso del loro passaggio. Ci sono e scompaiono solo alla vista. Come fluisse il sangue fuori di noi, o i pensieri cuciti assieme dal filo dell’abbandono ora fossero non più racchiusi in scatole di legno di rosa, ma liberi di volare e non tornare. Lasciarsi andare e lasciare che il corpo e il cervello si vuotino in un abbandono che è resa al tempo, a ciò che non torna del giorno, a quello che si è omesso. È l’ora della scimmia, quella che ti salta addosso e ti fa sentire le unghie del trascorso: ciò che si è abbarbicato e che non ha avuto soddisfazione. Dicono ridendo, sia animista perché sento lo spirito che vaga, che esce in quell’ora e si posa altrove. Capisco che entra negli alberi, soffia sull’erba, s’appoggia al calore di un muro, guarda, fissa, interroga. E allora mi prende una malinconia che pesa esattamente come la scimmia che si è posata sulle spalle e attende che qualcosa le dica di scendere, ma non ho voglia, non è tempo. Se fosse uno zaino, sarebbe a terra che attende in una stanza che ancora non conosco appieno, oppure sul letto in attesa d’essere vuotato. Ma non lo è ed è rimasta la voglia di viaggiare a piedi. Cosa oggi difficile che rimando ad altri momenti, ma che resta perché essa stessa è scimmia. Così immagino e sento lo spirito del giungere che mai si soddisfa se non in compagnia. Sento che nello stare gli spiriti si addensano allegri nei ricordi e che spingono ad andare in cerca di meraviglie che attendono altrove. Porteranno pazienza, intanto mi accontento di particolari e penso che se fosse estate, aprirei la finestra alla notte, mi stenderei ad ascoltare i richiami che cambiano tono alla voce e il profumo di fresco che è già freddo e stanchezza del giorno.
Ma non sarà mai più come prima, ciò che poteva essere si dissolve ed è questo lo spirito della scimmia che spinge oltre e non ricorda.