Era entrato nella cattedrale solo per il famoso labirinto tracciato a mosaico sul pavimento. C’era, illuminato dal rosone centrale, splendeva per pezzi, sovrastato da sedie e banchi per i fedeli. Forse era un segno che oggi nessuno più si perdeva o desiderava perdersi.
Oppure
Il labirinto si doveva cercare sotto sedie e inginocchiatoi e anche questo era un segno perché non basta avere la volontà di perdersi e magari ritrovarsi alla fine di un cammino, ma serve la volontà del percorrere e del cercarsi. Se cosi è, quegl’intralci che occultavano il labirinto erano le scuse che avrebbero evitato la fatica della vita piena.
Oppure
I mosaici occultati, i simboli, le loro precise collocazioni erano state stravolte dal tempo sopravanzato. A che serviva un labirinto senza una mente che cogliesse i segni, le corrispondenze con il vivere e il suo possibile futuro? La funzione profetica, persino il dilemma della scelta era smarrito, restava l’apparenza e il gioco del tirare a indovinare: praticamente nulla. Allora sacrestani pietosi, forse iniziati, avevano occultato alla noncuranza, ciò che era prezioso e ora solo file ordinate di sedie coprivano le alternative del dove andare a cercare il proprio senso.
Oppure
Il rosone, pur quasi coperto dall’organo immenso, sfolgorava di colori. L’organo era un trionfo di legni scuri intagliati, di statue, di mensole e canne, acquattato nell’ ombra, ma conscio e forte di un silenzio che preannunciava la sua voce immane. Un raggio di luce lo accarezzava, si faceva strada tra canne e sculture e finiva sul pavimento. Ora una piccola pozza di sole percorreva il labirinto. Indicava, o almeno sembrava lo facesse, si schermiva e timida interrogava: hai visto? Scelto? Non dire che è stato un segno del destino, sei tu l’attore della tua commedia, io servo solo a rammentarti cosa cerchi. E non invocare scuse, non scegliere è la certezza che non ti troverai. Ma forse questa è la tua scelta. E la luce intanto, con pazienza, scavava pertugi tra volgari intralci di gambe e banchi, cercava figure del mito e assonanze, indicando distrattamente gli assoluti che il mosaico conteneva.
Oppure
Vide il labirinto e ne sentì la sofferenza d’essere stato sepolto al senso. Sedette e gli parve di meditare su uno scempio impunito. Pian piano emerse la ragione del suo essere lì, della sua sorpresa, del mondo che stava attorno che perseguiva l’idea che non ci fosse soluzione al vivere. Altri ben prima della costruzione della cattedrale e del labirinto avevano meditato sulla stessa relazione tra assoluto e parziale, tra inconosciuto e banale. Vivere era solo un disordinato susseguirsi di desideri oppure un essere ben poggiato su di sé e, seppur ricco di dubbi, cerca la sua vita? Era lui, e coloro che l’avevano preceduto, fantasmi di una libertà dell’andare oppure insiemi di regole e di obblighi ricevuti? Guardando il pavimento a mosaico vide un raggio di luce e, gli parve, la figura di una fenice illuminata: nascere in continuazione era una risposta al bisogno di innocenza, ma anche un vedere oltre gli obblighi e la colpa che essi generavano. La libertà era il percorrersi, lo scegliersi per cercare il cuore del mondo, il labirinto era dentro di sé e ciò che si poteva vedere ne era una pallida, occultata rappresentazione.
Oppure…