Le parole escono prima in fila, staccate, indecise e poi a fiotti, poi frenano e sono di nuovo staccate. Hanno un ritmo sincopato.
Dum, du du, dum, du du, dumdum, du, du, dum dum, ecc …
Siamo estranei alle variazioni, seguiamo i ritmi. I ritmi rassicurano, fanno capire quello che sta sotto. Il respiro della nostra idea del vivere che si manifesta. C’è ritmo anche nel mangiare, i bocconi passano dal piatto alla bocca, masticati scendono. Poi di nuovo. Si esprime molto nella sequenza, carenze soprattutto, indecisioni e piccole paure. Bocconi e pause, sono parole che si aggiungono alle altre. Di tanto in tanto un sorso di vino o di acqua. Pulire il piatto per finire, buttar giù cibo, emettere parole. Una macchina.
Sono ritmiche le macchine. Anch’io sono una macchina, posso nutrirmi di silenzi, ma così ascolto e mangio troppo. Invece voglio sentire e rispettare il mio ritmo. Ogni vita ha un ritmo. Non è il senso delle parole, che è importante, certo, ascolto per questo, ma il senso non è tutto. Cosa ci sta sotto? Il cibo come bisogno? Parli di cibo, poco di quello che mangiamo, già di quello che mangerai. E c’è il ricordo epico di ciò che hai mangiato un’altra volta. Una sorta di pieno d’orchestra che fa irrompere il passato nel presente, lo condiziona e lo schianta sotto il peso d’un impossibile confronto. Che sia questo il tuo ritmo? No, questo è presente e passato.
Parli del presente, parli di sesso. Ridi. Non capisco se sia una risata che nasconde. Le risate liberatorie sono poche, molte nascondono, soddisfano il bisogno d’aria, prendono tempo. Come gli sbadigli. L’amante, ti diffondi in particolari. E’ come il cibo, ritmica nei modi. Finché ce n’è sul piatto, diventa finché ce n’è sul letto. Ti fermo, chiedo se valga la reciprocità. Tutto ciò che si può scambiare diventa equilibrato, tu diventi lei, spesso è indice di verità, e devo capire se tu per lei sei un amante, quindi non così essenziale. La cosa ti sconcerta, altra risata, bestemmia, risata, un fiotto di rassicurazioni, di sì. Entrambi eguali, quindi liberi. Com’è che dicevi? Il sentimento ai piedi del letto. Come le ciabatte o le scarpe. Te lo dico, ma non è un giudizio morale, solo che è una modalità difficile per le macchine. Le macchine hanno ritmo e sentimenti, non lo sapevi?
Vivere è come buttar giù roba, dici. Discutiamo. Mi prendo del moralista. Il pensiero si fa complesso, sovrapposto. Cosa mi nascondi? Gli schermi del ragionamento sono fuochi di sbarramento che occultano i punti deboli. La tattica è quella di distrarre l’avversario, attrarlo sul terreno dove si è forti e colpire con la razionalità. Non mi freghi, a me interessa il ritmo e questo non ha nulla di razionale. Per spiegartelo dovrei dirti che passato, presente e futuro sono cuciti con un ritmo fatto di azioni conseguenti, di spazi riempiti per lasciare vuoti a disposizione. E noi viviamo sui vuoti, ci servono per metter dentro ricordi inesistenti, cucire gli squarci e raddrizzare vite che altrimenti spererebbero gran poco. E’ il ritmo che rivela le paure, le sicurezze, i modi con cui si vive. Ci sono persone che parlano lentamente, che mangiano lentamente, la loro vita si dipana come una melodia nella notte, riempie ogni spazio. Si colma, non ha bisogno di ricordare per valutare se è felice adesso. Ma la felicità non c’entra con il metronomo interiore, è una conseguenza di una buona esecuzione. Quindi ci può essere sempre e in chiunque. Hai notato che la felicità arriva quando ci si ferma e poi diminuisce con il rimettersi in moto. Come fosse la fine di un’esecuzione, l’attimo prima dell’applauso.
Bizzarrie, pensieri anodini, mi torna in mente la divinazione con i fondi di caffè, c’è chi sente il pulsare nelle cose e trova la relazione con noi. Ci credi? No? Ma qual’è il ritmo della tua vita, quello che durerà?
Ah Iannacci. Ma come è possibile che non ci sia più ?
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Anche il tono conta, oltre al ritmo. Certo le pause, i silenzi, masticare la noia, in fondo assecondare il tempo senza disturbare il vuoto. Invece si scelgono inganni banali, oltraggiando il cuore, per poi guardarsi indietro e lasciarsi tentare dal fare la valutazione della propria mole di ‘scarti’, chè l’incapienza di sensazioni è un morbo abbastanza importante.
Più astinenze e silenzi.
Ti lascio una poesia da far ‘masticare’ al commensale ingordo, se mai ti dovessi sedere di nuovo alla sua tavola:
Toi l’ennui
Plus grand que l’océan
Plus étroit qu’un carcan
Plus cruel qu’un enfant
Plus bête qu’un adjudant
Plus chaud qu’une gourgandine
Plus frigide qu’une béguine
Plus vide que le désert
Plus peuplé que l’enfer
Toi l’Ennui
Plus haut qu’une cathédrale
Plus mince qu’un pétale
Plus triste qu’un vieux clown
Plus gai que les Gorgones
Plus réel que matière
Plus fluide que l’éther
Plus muet que le silence
Plus parlant qu’une jactance
Toi l’Ennui
Plus contrit qu’un curé
Plus gueulant qu’une traînée
Plus gris que la poussière
Plus transparent que l’air
Plus long qu’une abstinence
Plus vide que l’absence
Plus lent qu’une agonie
Plus ingrat que l’oubli
Toi l’Ennui
Plus sot qu’un fonctionnaire
Plus brimant qu’un clystère
Plus bâfrant qu’un glouton
Plus radin qu’Harpagon
Plus hideux que misère
Plus doux qu’une mégère
Plus amène qu’un démon
Plus mielleux qu’une potion
Toi l’Ennui
Jamais tu n’abandonnes
Tu ne fais grâce à personne
Aussi vaste que le monde
tu nous mènes à la ronde
Aussi vieux que la terre
tu ne désarmes guère
Aussi long que la vie
jamais tu ne t’oublies
Toi l’Ennui
Esther Granek, Portraits et chansons sans retouches, 1976
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Ti ringrazio della poesia, potrei passargliela, ma non si riconoscerebbe: dovrebbe scriverla lui per sentirla sua. 🙂
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