Gli errori che più pesano sono nell’incomprensione. Che è fatta di mancato capire biunivoco, io non capisco, tu non capisci, e arena ogni possibile evolvere. Accompagna il tutto l’orgoglio d’essere, almeno in parte, nel giusto, che non è un errore, ma non mitiga la sensazione di un fallimento.
Credo che, tra i non pochi fallimenti che m’ hanno accompagnato, molti si basino sull’incomprensione e nel non aver capito perché, ad un certo punto, la comunicazione è divaricata: pareva, sembrava, ma non era. Bisognava facessi uno sforzo, anche d’umile consapevolezza ed invece la presunzione di realtà si è fatta solida, si è sovrapposta all’altra persona. Con chi stavo parlando, chi mi parlava?
Non ci salverà nessuno, finché ci si perde nel veleno dolce della nostalgia e tantomeno si dimentica.
Vorrei dare dignità all’oblio del nuovo, ancor più insensato se tale non è, ma che ha il pregio di portarci fuori da noi stessi a rivedere il mondo.
Bellissimo post….bisognerebbe sempre essere più attenti…..ma tutti sbagliamo in un modo o nell’altro…..a volte basta solo riconoscerlo.
Penso che vi sia una forma d’intelligenza che si appiglia all’umiltà di interessarsi prima ancora che di capire. E’ l’intelligenza che riconosce l’umanità dell’errore e non condanna. La presunzione scatta quando viene ingaggiata una specie di lotta per la supremazia e si cominci a gareggiare di forza e di astuzia, allora mors tua vita mea diventa la peggiore caduta in basso possibile.
La cosa peggiore che possa capitare è quella di convivere col nemico. E insieme a questo l’incapacità di accettare quella condizione ed edulcorare la pena per farsi piacere il boccone.
@Mora: l’interesse è almeno bene, a volte amore e se non capisce, semplicemente rimanda, non dispera, aspetta.
Bisognerebbe distinguere tra interesse sano e interesse malato, ma questa è un’altra storia, invece ho timore di chi non riconosce l’errore: o non vede i propri errori oppure deve occultarne troppi, in entrambi i casi è pericoloso.
Per esperienza personale so anche che adattarsi non fa mai bene, ma anche su questo chi può dire? Ognuno vive, sa cosa gli accade e quello che può fare davvero, basta non superare di troppo i limiti. Se puoi, non farlo, tu non mi sembri una persona che si racconta troppe storie.
Già, Silvia, basta riconoscerlo ed avere con-passione per sé e per chi ne è stato oggetto. Ma non è facile, però néanche impossibile
Interesse malato. Hai detto tanto. So cosa sia.
“Chi ci salverà dagli errori”?…
I prezzi da pagare consapevoli che questo è l’unico riscatto per noi.Mirka
non conosciamo amissioni di colpa, beviamo le acque del Lete e sappiamo ancora ridere.
“… la comunicazione è divaricata: pareva, sembrava, ma non era. Bisognava facessi uno sforzo, anche d’umile consapevolezza ed invece la presunzione di realtà si è fatta solida, si è sovrapposta all’altra persona. Con chi stavo parlando, chi mi parlava?”
E’ un po’ come con le parole: comunque, al massimo della loro funzionalità, non sono la cosa. Nemmeno le immagini sono la cosa, e più delle immagini cosa possiamo? Possiamo toccare chiudendo gli occhi, annusare, assaporare: sensazioni “della” cosa, non “la” cosa.
Così, sempre, l’altro resta altro. Uno stupore. Un mistero. Un amore. Un timore. Un infinito. E questo al meglio, della nostra umiltà e intima consapevolezza.
Di solito, al di fuori di questo stato di grazia, dell’altro per quello che è, invece di arrivare a sentirne il respiro in una godibile oscurità cognitiva, facciamo polpette, strampalati collages, esorbitanti caricature, rozze sostituzioni, violente negazioni.
Per rivedere il mondo, dici che dobbiamo uscire da noi stessi. Fermare il funzionamento, o gli effetti, di quella memoria che impedisce la percezione, per cui ciò che è viene sostituito da ciò che ci si aspetta che sia, ciò che vogliamo che sia – ita sit, ergo ita est? Un fuori di noi che è dentro di noi, o da nessuna parte.