Ma davvero è tutto determinato e scontato, per cui al più è possibile solo mutare qualche piccolo particolare che ci riguarda, mentre tutto il resto è vincolato? Se così fosse, ovvero non vi fossero alternative, e neppure miglioramenti, questo sarebbe il mondo delle libertà presunte e virtuali, delle democrazie senza contenuto, da inguaribile romantico mi permetto di non crederci. Qui può finire la lettura, le considerazioni seguenti riguarderanno il mio modo di vedere quanto sta accadendo in questi giorni in Italia.
Il governo Monti procede secondo le proprie priorità e convinzioni nell’azione di “risanamento” del Paese. In un’analisi certamente né equa, né serena, colgo l’allungamento delle età pensionabili per tutti, per le donne di più, addirittura sette anni, vedo un innalzamento dell’iva, un inasprimento delle tasse sulla casa, liberalizzazioni molto contenute o inesistenti per professioni, taxisti, farmacie, ben rappresentate in parlamento, nessuna vera tassa sui grandi patrimoni, il miserevole recupero dell’1.5% sui capitali scudati (e le banche dicono che è difficile, per motivi di anonimato, anche se è una minima parte di quanto richiesto per lo stesso motivo dagli altri paesi liberali), nessun intervento sulle banche e sulla stretta del credito, un rinvio che non promette bene sulla vergognosa cessione gratuita delle frequenze, e un altrettanto grave rinvio sul problema della governance della Rai. Certamente tralascio qualcosa, non dimentico lo scorporo delle reti gas, e ho presagi non positivi sulle reti acqua e sulle reti Rfi. Ma io sono di parte, chi mi conosce sa che ho una storia di sinistra, che ho avuto l’occasione di vivere dal di dentro la politica e che quindi posso capire, ma non sono obbiettivo. Come sarebbe giusto che ciascuno fosse di parte, almeno la sua, rispettoso delle idee altrui, ma naturalmente portato a contrastare ciò che non ritiene giusto. Bene, per me non è giusto quanto sta avvenendo, si incide sulla carne reale delle persone senza che ci sia un equilibrio nei sacrifici, i deboli pagano moltissimo, i forti nulla. Si è generata l’idea che i colpevoli della crisi del paese siano i lavoratori, le donne, i pensionati, si è sventolata una lettera della BCE, come i comandamenti che permettevano di restare all’interno della chiesa della finanza, ben sapendo che la stessa BCE è in buona parte impotente rispetto alla speculazione e succube della volontà della Germania. Si è agitata la Grecia come spettro del disastro incombente, vero, ma si è evitato di dire come si genera e si sostiene il debito italiano, quanto realmente pesa l’illegalità e quanto è diversa la situazione italiana rispetto alla Grecia e al Portogallo. Si è considerata la speculazione come un fattore di mercato senza aggettivi negativi e componente ineliminabile dal capitalismo e dai governi democratici. E si è superata la stessa lettera della BCE con la riforma di un articolo dello statuto dei lavoratori che nessuno aveva chiesto, ovvero l’articolo 18.
Si è deviata l’attenzione dalle domande vere della crisi, ovvero come superarla e creare nuova occupazione, come generare nuove professioni e lavori, come sostenere le imprese che siano adeguate ad un protagonismo italiano nel mercato globalizzato. L’attenzione del governo si è incentrata sullo statuto dei lavoratori, cavallo di battaglia dell’ex ministro Sacconi, e pur riconoscendo che deve essere riformato l’accesso al lavoro dei giovani non è rendendo più facile l’espulsione di quelli più anziani che si risolve il problema. Comunque vorrei sottolineare che non è l’articolo 18 il problema dell’Italia, è un problema marginale, fortemente caricato di valenza ideologica e non riesco a capire perché a fronte della disponibilità del sindacato di voler convergere sul modello tedesco perché si sia scelta la rottura e la divisione. Anzi un motivo mi viene in testa, ovvero che per dare patente di riforma a ciò che alla fine non creerà lavoro aggiuntivo, si sia scelta la prova di forza e se la CGIL non approva allora significa che è davvero una riforma. Come se la sinistra, la CGIL, il Pd fossero la parte reazionaria del paese e invece la modernità risiedesse nelle politiche liberiste. Ecco, questa è un’altra delle mistificazioni che non mi piacciono, tanto da coinvolgere la gestione della flessibilità in uscita tedesca, troppo sociale sembra, per la nuova interpretazione del mercato del lavoro. Meglio il modello americano dove le tutele praticamente non esistono, e non c’è neppure il sistema di wellfare che esiste in Europa.
Non mi piace che nessuno spieghi perché il lavoro dipendente paga l’80% delle tasse a fronte del fatto che possiede il 50% della ricchezza prodotta. Le domande a cui un governo tecnico dovrebbe rispondere sono: che fine fanno i soldi, chi paga chi, perché questo paese non cresce. Senza essere millenaristici è da tempo che il sistema di produzione basato sulla crescita dei consumi porta con sé il proprio declino e tracollo, questo è il problema che dovrebbe essere analizzato e risolto, anche affrontando nuove solidarietà di mercato. Non sono tra quelli che pensano che si possa uscire dal sistema, che è meglio fallire anziché pagare, solo che capisco che la cura adottata sta ammazzando il cavallo. Lo stanno facendo in Grecia e in Portogallo ed ora anche in Italia, perché nei prossimi mesi, le famiglie verranno ulteriormente impoverite, e magari i lavoratori occupati resisteranno, ma chi non ha lavoro o l’ha perduto, che farà?
Ho l’impressione che in una situazione come quella che vive l’economia italiana ovvero uno stato di recessione con una crisi strutturale in atto che sta cambiando il nostro modo di produrre e creare reddito nel manifatturiero, una minore arroganza e una volontà di trovare soluzioni, non sia consociativismo, ma la necessità di condividere, con chi sta pagando la crisi che non ha, in gran parte, generato, le soluzioni per rilanciare l’economia. Con lo scontro e l’arroganza, è facile non vedere le parti buone della riforma, ma viene anche da pensare che il lavoro irregolare e nero, aumenterà, visti i controlli esigui, che le aziende assumeranno il minimo ed utilizzeranno, finché possono, gli straordinari per le punte di produzione, generando un mercato asfittico basato sulla sopravvivenza anzichè sulla crescita.
Si è detto in questi giorni che bisogna attrarre capitali e nuove imprese, fino ad oggi, in Italia, c’è una flessibilità, che significa precarietà, elevata, un’area di illegalità importante eppure questo non ha attirato capitali e lavorazioni, anzi anche le imprese delle aree dove più si è cresciuto e si cresce, anziché restare sono, o stanno emigrando verso paesi in cui non c’è nessuna tutela. Quindi non è questa la vera ragione della crisi. Il fatto è che questo è un paese economicamente vecchio, dove il costo della burocrazia e dell’illegalità è elevato per chi sta alle regole, è il paese in cui si sono vendute gran parte delle filiere complete di prodotto, la chimica, i treni, gli aerei, fra poco l’auto, si resta sui mercati con nicchie di prodotto, con il made in Italy, contando di non essere raggiunti e superati. Al posto di favorire la nascita di nuove produzioni, viene invece proposta maggiore libertà di impresa, il che significa lavoro meno tutelato e possibilità di espellere gli elementi di disturbo, basterà pagare. Vediamo l’esempio Marchionne, quanti investimenti ha generato? Quanti lavoratori in mobilità sono rientrati in azienda, rispetto a quelli programmati? Dove sono i nuovi modelli di auto? Il problema è proprio questo, non ci sono prodotti e la produttività ristagna da anni per mancanza di tecnologie più che per la capacità di lavoro e di sacrificio degli operai. Se oggi gli stabilimenti Fiat, o quelli delle altre migliaia di fabbriche in cassa integrazione avessero più produttività, avrebbero i magazzini pieni per mancanza di mercato.
La modernizzazione è una parola contenitore, ognuno ci mette quello che vuole, ma senza pensare a soluzioni impossibili, cambiare si può, magari condividendolo anziché imporlo a chi protesta poco, e comunque agire con meno arroganza. Soprattutto se non si è mai stati eletti da nessuno. Meno emozioni televisive e più cuore per ascoltare il Paese, che poi è quello che la carretta la deve tirare davvero.