giulivismo

Mi piace l’allegria naturale che sfiocca verso l’alto, spinta dal vento dell’assurdo, e si spegne in un sorriso. Se riprende è per abbrivio e magari riscoppia in una risata, ma non è condizione forzata ed è cortese con la propria intelligenza e sensibilità.

Mi piace l’ottimismo, che rovescia il reale banale, lo prende in mano e lo guarda sotto, sopra, di lato, si meraviglia del nuovo che non era notato, e lo rispetta, ma non teme di porre da canto la polvere e lo scontato. Mi piace perché è una conquista attiva, perché strattona la vita per tenerla sveglia.

Mi piace il sorriso che assomiglia al lampo, che riporta al bianco inatteso, agli occhi senza velo. Mi piace perché quando scompare lascia nell’aria una sensazione priva di sguaiatezza, una vibrazione che accarezza.

Non mi piace il giulivismo che deborda in molte parti del quotidiano, la fiducia acritica sulle progressive sorti senza impegno. Non mi piace vedere l’impressione del sé senza autoironia, sentire la coda cattolica che serpeggia ovunque, dalla politica ai comportamente individuali, perché il pensare positivo cambia il mondo, perché la tracotante fiducia di sé allontana il dubbio e la paura. Che stupidaggine, essere giulivi non è l’esercizio della speranza, è un esorcismo superficiale che banalizza quanto accade davvero, per rifugiare in una considerazione del mondo come propria estensione. A te è stata data la terra, adoperala. 

E neppure il giulivismo catastrofico mi piace, il vivo alla grande perché non dura, altra coda del cattolicesimo d’antan, la reazione al pulvis est, con la reiterata sopravvalutazione del presente come costruzione positiva nel negativo delle storie.

Solo la digestione lunga del sauro supera il giulivismo, ma almeno quest’ultimo dorme finché si pasce di sé.