il pieno

Al distributore dell’Eni, modalità iperself (chissà che vorrà dire?), c’è una lunga coda per fare il pieno. Auto, moto, qualcuno è venuto a piedi con una tanica: è l’ultimo week end di offerta. Una specie di saldo di ciò che eravamo un mese fa, quando quei prezzi per il carburante ci sembravano già alti ed inconcepibili.

Qui, c’è la varia umanità che rispecchia la crisi che coinvolge oltre i numeri, oltre il ragionamento: basta pensare che sia una svendita e ci si mette in attesa. Non è così, basterebbe capire che i pochi euro di differenza di un pieno, non cambiano la sostanza delle cose, che il problema è ben più grande, ma siamo qui, in fila. Preferiamo attendere.

Quanto siamo manipolabili e abituati a guardare il dito e non la luna. Non è questione di sviluppare nuove rabbie, ma discernere, capire cosa accade davvero e cosa fa male. Ecco, credo non ci sia la percezione del danno. Forse perché non c’è un obbiettivo da raggiungere, un cambiamento importante da verificare. Così ci si accontenta di promesse a breve e intanto ci si arrabatta, ma non sarebbe lo stesso vivere il quotidiano ed avere un ideale alto, che permetta di protestare e collegare il prezzo della benzina alla vita, o al lavoro precario, o al futuro che vorremmo?

Troppa fatica forse, è più facile mettersi in coda per fare un pieno e poi andarsene con l’idea che così si è un po’ superata la crisi, che può andare meglio. La fiducia comunque è positiva, ma ho l’impressione che senza qualche impegno più grande, ci resteranno solo piccole furbe felicità da pieno di carburante.