il mito dell’autosufficienza

Non essere d’altri che di te stesso.

E’ un imperativo della libertà, del non essere servi di qualcosa, di qualcuno. Da qui comincia il bisogno di libertà, l’essere con altri e il bastarsi. Il servire è un dono, un dare, un essere aperti all’altro. C’è un profondo amore ed anarchia in tutto questo non sentirsi appartenenti se non a sé eppure darsi. Non bastarsi. Mi fermerei su questo non bastarsi – e per questo darsi –  come gesto naturale che ha risolto, almeno in piccola parte il problema della solitudine. Il mito dell’autosufficienza attuale è ben diverso, punta sulla capacità dell’individuo di prevalere sugli altri, genera una solitudine da potere e quando il potere non è raggiunto alla solitudine si aggiunge il fallimento personale. In azienda, nella società, si insegna la competizione esasperata, non il darsi liberamente all’altro e la solidarietà del gruppo coltivando l’autosufficienza. Da questo insegnamento proviene una doppia conseguenza: una solitudine non scelta e crescente delle persone e un’ autosufficienza fasulla, visto che porta con sé la disperazione.

L’autosufficienza vera è quella che intraprende il viaggio verso la scoperta del sé totale, della propria diversità nell’eguaglianza, perché proprio nel riconoscere in cosa si è eguali si vede ciò che è unico in noi. E come ogni viaggio vero, questo scendere nella nostra autosufficienza apre, fornisce una dimensione, assume un criterio profondo di giusto e ingiusto, trova la giusta distanza, esercita l’autoironia per vedersi.