non essere d’altri che di te stesso
Il mare si gonfia lento, è il respiro tranquillo della gravità, che pulsa, tra una frangia di rumore, un silenzio di risucchio, uno scroscio d’ansa d’onda.
Brezza da terra, sabbia compatta, mare davanti, luce grigia, con riflessi di perla, che si diffonde ovunque.
Riposa lo sguardo dopo i colori saturi dei giorni passati, e l’odore del salso è tenue, quasi dolce. Nei mercati dominava l’ afrore della decomposizione, ci si immergeva in vicoli e capannoni, mentre la luce si attenuava, tra lamiere e baracche di legno marcio, attratti più dalla contrattazione che dagli oggetti, per poi, stanchi, uscire all’aria, felici di respirare. Ovunque, in questo mondo, c’è la violenza biologica del mutamento, e uomini, flora e animali, convivono, si mescolano, interagiscono, sommano ciascuno all’altro il proprio sapere di vita.
Tutto si somma e resta se stesso, come quest’onda che muta colore dal verde azzurro al marrone quando incontra la sabbia e, senza tema, l’abbraccia prima di posarla nell’approdo. La terra si mescola con il mare, nel silenzio fatto di fragori e non di voci, e tutto questo ha una bellezza che non si ripete eguale, ma continua e mi rasserena nella strada d’essere mio e del mondo.
