A casa si sapeva dell’otto marzo. Mia madre diceva che era una giornata per le donne, c’era la mimosa, il senso di una particolarità, ma non si sapeva bene cosa augurare e in fondo tutto era come gli altri giorni. Però c’era molto rispetto. La violenza era stata prima, difficile sfuggirle in quegli anni. Il rispetto era nelle persone che si erano messe assieme, segno che si poteva sfuggire ai proverbi, al dover essere di qualcuno come identità. E non era questione di mitezza, anche se mio padre era una persona pacifica e decisa, era il valore del rispetto che in casa non era solo una parola e quello che si dava agli uomini era lo stesso per le donne. Mia nonna diceva che suo marito non le aveva mai detto neppure tirete in là, per scherzo. Quindi anche prima il rispetto era un valore, una sostanza per quella specie d’amore che circolava allora.
Mio padre, io stesso, siamo cresciuti da soli con donne, e il prendersi reciprocamente cura è stato naturale. Uno scambio, pur restando nei ruoli. Anche il rispetto si apprendeva tutti i giorni, magari con qualche ceffone per aiutare il concetto, ma non era una fatica. E’ stata una fortuna, anche se penso che sia la violenza ad essere innaturale, non la comunicazione e il rispettarsi. In più oggi c’è molto, la possibilità di andarsene, ad esempio, ma capisco che in una casa si gioca molto più che un rapporto d’amore, si crea e si riproduce ciò che c’è all’esterno. A volte si pensa d’essere in un isola o in una fortezza ben munita, ma in tutto questo chiudersi, in realtà si chiudono solo gli occhi. E il microcosmo dei rapporti in casa sarà in piccola parte ciò che accadrà fuori. La coscienza delle donne cambia gli uomini, li mette davanti alla loro debolezza, per questo sono loro che cambieranno il mondo. In meglio.
