immaginate

                                                                                                                          barbagiaImmaginate dei padri, ormai attempati. Immaginate storie tristi che hanno scosso famiglie spogliandole di gioie semplici: l’appartenenza, la vita, i giochi che fanno crescere, sorridere, preoccupare. Immaginate il tempo interrotto eppure il tempo che continua. La necessità di non lasciarsi andare perchè altri hanno bisogno. Tutto questo con il riserbo di persone che parlano poco anche nella vita e nelle storie conosciute. Qui la domanda non può avere punti interrogativi, dev’essere lieve come carezza e forte come abbraccio. Un poeta scrive una ninna nanna per il suo bambino. Le parole sono il luogo dei desideri, da recitare ogni sera, come storia e preghiera. Mentre scende la luce i suoi occhi vedono il futuro, i giochi, i doni, le bellezze che il bimbo avrà. Ogni cosa possibile e impossibile gli verrà portata, perchè sia felice e importante per sè stesso. La ninna nanna si snoda e davanti agli occhi del bimbo, che ormai si chiudono, scorrono i colori: l’oro, il rosso, il blu intenso che si screzia d’argento, il verde prato. Poi il nitrito di un cavallino, un piccolo fucile per sembrare più grande, un uccellino che canta il risveglio al mattino. Ci sono gli odori della cucina, il profumo del cortile, lo zucchero che caramella e riempie l’aria e la bocca. Il bimbo adesso dorme e sorride. Il babbo lo rimbocca e bacia piano. 

Su questa poesia, la musica è stata scritta dopo un lutto così grave che solo una cosa bella e profonda poteva diluirlo e quando il coro la intona, gli occhi si inumidiscono, la voce si rompe in pezzetti di cristallo. Sono vecchi padri, conoscono le vite di chi sta accanto, hanno partecipato allora alla disperazione muta ed ogni volta sono pronti a stringere spalle dentro braccia forti.

Libera nos a malo.

  

il bello non è normale

Il pietrischetto di silice 
curva l'asfalto biondo. 
Steli di fiori al bordo della strada 
e gli alberi, colmi di tenero verde, sui declivi a sfondo. 
Il bello non è normale
eppure è dappertutto,
troppi verdi mancano nelle nostre parole.
La radio racconta di economia lontana, 
una mano sul mondo, che si apre e si chiude, ansimando 
come gli uomini quando leggono solo la propria passione. 
E la Barbagia scorre di meriggio: 
è ostracismo di continente, 
braccia di liberi forzati che stringono e s'aprono. 
Appena un segno a rigare labbra chiuse, 
il dolore ha dipinto di nero il palmo delle mani, 
le rughe, gli abiti della festa e del lavoro.
Nel legno di cirmolo odoroso, 
la pazienza scolpisce e vince.
Sempre.

ignorante precoce

Tutte quelle pagine di carta patinata, dove non si menava il can per l’aia e nei caratteri sottili l’autore infliggeva al lettore, la stessa pena a suo tempo subita, mi respingevano. Non c’era comunicazione, insegnamento, solo formule, teoremi, scarsi esempi, chè per capire o ci si arrivava oppure s’era sbagliato mestiere. L’autore non si preoccupava dell’illuminazione che aveva investito un cervello, (per trovare la gioia che stava dietro ad una intuizione dimostrata, dovetti arrivare a Wertheimer), non c’era una mappa del capire: la scienza era così e basta. Ed allora erano le parole a dover rispondere del misfatto cognitivo, come se spremendo da ogni singola lettera il significato questo, assomato,  diventasse il mantra della comprensione. Altri imparavano a memoria e si fermavano alla linea del voto, facendo coincidere l’intelligere con il risultato. Tra questi, uno pratico disse: non devi capire, devi sapere, poi la vita farà il resto. Ed io che pensavo fosse vero esattamente l’inverso, di quei libri, deposito del sapere, sottolineati a più colori, e commentati a margine, restava il peso e il rimprovero. Come fossero una galleria di antenati che, disgustati dal prodotto dei loro amori, scuotevano il capo senza non accorgersi che così facendo cadeva polvere.

uomini

uomini4

Gli uomini nell’eleganza innata, hanno tocchi consapevoli di civetteria. Una sciarpa fantasiosa, la galabejia con la riga ricercata, il turbante appena più grande.

Hanno una dimensione pubblica, gli uomini, e lo sanno. Anche quando chiedono – e lo fanno in continuazione – perchè fa parte dei rapporti con noi e non si offendono se si dice di nò. Solo se li scambi per truffatori, si arrabbiano perchè loro commerciano anche il niente, per il gusto di contrattare e di vincere una contesa. In fondo è questo che li contraddistingue: una serie di piccole vittorie. E conoscendo il punto di caduta al di sotto del quale non andare, sopra c’è la misura della momentanea vittoria, la soddisfazione di correre sulle ninfee senza bagnarsi.

Mi sono messo la galabejia, uno zucchetto ricamato e un turbante bianco, ma non è la stessa cosa. Che mi manchi il bacino in avanti dell’indossatrice?

aspide

Il lago Nasser si estende per oltre 500 km a sud di Assuan. In Egitto bisogna rovesciare i concetti di alto e basso, perchè conta il fiume e il basso è verso nord e l’alto verso sud. Siamo poco sopra il Sudan e questo è l’alto Egitto, per gli egiziani da sempre è così. Il tempio di wadi el sebua  è della prima era Tolemaica. A confronto con Saqqara sembra costruito l’altro ieri. E’ coevo a quella che era allora l’europa della Grecia classica, da poco i Persiani erano stati sconfitti a Platea e Pitagora discettava in Puglia, vietando le fave ai propri adepti. Venendo da Abu Simbel, nulla ti può sconvolgere. Anche qui il solito Ramses II, i soliti dei e la solita barca solare, tutto più piccolo, solo i capitelli delle colonne sono diversi: più elaborati con l’influenza greca ad intromettersi tra il loto e il papiro. In una camera stretta, a lato del sancta santorum, la figlia di Amon viene raffigurata placata dal babbuino. E’ un bassorilievo inatteso di grande delicatezza e forza, inaspettato. La storia che ci sta dietro è pressapoco questa: il padre, Amon, era disgustato degli uomini e lei vedendolo contrariato,  s’era messa in testa di risolvergli il problema. Per cui, trasformata in leonessa, andava in giro a sbranare chi trovava sul suo passo. Il sangue, ad un certo punto,  l’eccitava così tanto che non si fermava più e la razza umana diminuiva a vista d’occhio. Amon comincia a preoccuparsi, ma la figlia non risponde ai richiami e ammazza a più non posso. Allora chiama il babbuino e gli chiede di intervenire dicendogli pressapoco così: fai qualcosa perchè questa ci lascia da soli e che fanno gli dei senza gli uomini con cui divertirsi? si annoiano. Allora babbuino caro, pensaci tu per favore. Il babbuino si provvede di un otre di vino, due coppe e aspetta la leonessa, tra le palme. Intanto fa l’indifferente, sbevazza, fa un poco il pagliaccio e la leonessa  si ferma, guarda e sorride, accetta il vino che le viene offerto, assomiglia al sangue, è buono. Bevi tu che bevo io e alla fine ridendo si addormenta. Quando si sveglierà penserà ad altro e un pò di umanità è salva: si è rotto il circolo del male. Dobbiamo pensare che Amon non aveva mica preoccupazioni morali, era solo una asimmetria quella che si stava creando e bisognava metterci una toppa.

Fuori del tempio, nella luce accecante del secondo mattino, tra le bancarelle, un nubiano ha una bottiglia di plastica da due litri e per un euro ti fa fare una foto all’aspide vivo, che ci sta dentro. Anche sulla spalla se vuoi. Più in là un’altro propone cuccioli di coccodrillo da mettere in testa: hanno unghie morbide come seta. Emozionato un coccodrillino fa una cacca in testa al cliente: cosa piccola, da bambini. quasi neppure si vede. Io sto col coccodrillo e anche con l’aspide, se si libera. Mi guardo attorno: la pietra è onnipresente, un’arenaria dalla colorazione marrone,così morbida da sembrare eterea, è la stessa che poteva essere statua ed ora calpestiamo come sabbia. Sempre più fine, sempre più slegata  dall’uomo, come gli dei che per 6000 anni hanno vissuto da queste parti e poi se ne sono andati. Mi dicono che in Francia ancora oggi, un nutrito gruppo di persone pratica il culto di Iside e una volta all’anno vengono in massa al tempio di File. Chissà perchè lo fanno? Forse per il deserto, forse per la forza di una dea antropomorfica, che ricomponeva le persone a pezzi. Oppure per la dolcezza dei contrari che esprime. Magari è solo uno sfizio da ricchi. 

Solo il vento non muta da queste parti, ma questa è un’altra storia. 

Inno a Iside

Rinvenuto a Nag Hammâdi, Egitto; risalente al III-IV secolo a.C.:

Perché io sono la prima e l’ultima
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la madre e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,
Io sono la Madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.

no stè combinar malani

a presto.

Per qualche giorno non potrò scrivere, ne approfitterò per pensare e vedere.

Mancherete.

(sembra una località dell’america del sud: tu dove vai? a mancherete)

e no stè combinar malani, opure combineghene ma che almanco i ve fassa star ben ( non combinate malanni, oppure combinatene ma che almeno vi facciano stare bene).

iblei

Il camion lituano ancheggia davanti alla punto di noleggio. 18 metri per 3 hanno un fascino soggiogante, in specie quando si muovono a 90 all’ora ed occupano l’intera carreggiata di questa strada iblea. Guardo intorno, i suoi stop, la strada: è un trapezio rovesciato nella montagna. Gli ingegneri non hanno faticato molto, un taglio e via, come prendere una donna di strada, appunto, senza creanza nè riguardo, pagando. Hanno pagato sbancando il necessario e sono rimasti ai lati, pezzi di collina incongrui, non hanno accarezzato i fianchi, hanno scavato con il minimo della fatica. Ma incurante della ferita, il verde irrompe, marezzato di fiori gialli. Qualche ciliegio e susino fiorito ricordano allegramente la stagione. Il camion non demorde in salita, dev’essere vuoto. Immagino l’autista che canta in cabina, pensa al mare di arance che caricherà e al lungo viaggio di ritorno: tre giorni fino a Riga passati in parcheggi e caffè notturni: con 350 euro mese si può vivere al margine della strada, ma c’è molto lungo le strade: vita, colore, compagnia, disperazione che fa capire che con pochi euro e un camion non si è così in basso. I nomi dei paesi si susseguono, Lentini, Carlentini (bisognava salire d’estate per evitare la malaria ed allora il paese aveva il suo omologo in collina), Francofonte, belli questi nomi, suonano come damasco medioevale, gli Altavilla, il velluto per dame, Federico II. Alle spalle ho lasciato Biancavilla, Belpasso, Gelso bianco; nomi che temperano la pietra scabrosa del vulcano, che puntano sul colore che cresce tra la lava, sul persistere del bianco per allontanare il pensiero della terra che ribolle. Ragusa è terra di terremoti e di barocco, ad Ibla la distruzione ha creato un’ unitarietà di stile e di pensiero inimitabile. Intanto il lituano s’inerpica ondeggiando, forse punterà a Vittoria, chissà se avrà tempo di confrontare il mare con quello di casa. Ormai c’è un serpentone dietro di me, alcuni impazienti tentano l’azzardo, qualcuno spaventato rientra. Che giova abitare in un posto così bello se la fretta acceca ? Fino a giugno, l’interno della Sicilia è verde, un pastello di fiori, dorato a maggio, se i colori fanno star bene, questo è il posto giusto. Gli stop si accendono, il serpente imita, il camion accosta, si ferma. Dalla cabina il lituano saluta, ridendo. Le auto sciamano,  libere finalmente di correre verso uffici, case, stazioni di servizio. Non accelero: vorrei stendermi sul muretto a Marina di Ragusa, ascoltare il primo sole che tira la pelle e pensare che è febbraio, che stasera mi fermerò a Modica per il cioccolato,e a notte prima di dormire annuserò dal balcone il lago di Pergusa.

floresti

Per trovare Floresti dovete andare a circa 140 km a nord ovest di Chisinau. Troverete 13000 abitanti, agricoltura e fiori, tre industrie: una per far succo di mele, l’altra di bottiglie di vetro, infine un biscottificio. Il vetro non odora, ma i biscotti e il succo di mela fanno sentire la loro presenza: si sniffa, passando dall’acidulo delle mele al caramellato dei biscotti. E’ come camminare in una cucina, con una mamma che prepara per il dì della festa. Ma non è una cucina calda con la stufa di pietra bianca, siamo fuori e c’è fango dappertutto: la neve si sta sciogliendo e le auto, le strade. i marciapiedi sono color nocciola. Mi dicono che sia il caolino a dare il colore e la consistenza melmosa, ma in realtà, è questione d’abitudine: non siamo più abituati al fango, agli schizzi sui calzoni. Floresti è stata parte di un latifondo immenso, ma allora era terra trattata distrattamente, censo. E qui risuonano le mie letture, Tolstoi, l’ ‘800 russo, il generale feudatario, le terre nere, i contadini servi della gleba. Del resto anche oggi, le case assomigliano ad isbe e sono rade, fuori dal centro.

Scendo dal pulmino e comincio a passeggiare sull’area in cui dovremmo fare  il parco industriale. Sono colline molto dolci, arrivo al crinale e lo sguardo si perde tra onde di terra e betulle verso l’Ucraina. Solo 30 km al confine, ma è lo stesso paesaggio dall’una all’altra parte. In pochi anni tra queste colline è cambiato il mondo, la storia delle famiglie, i percorsi quotidiani, le città e le appartenenze. Tra frontiere, guerre, democrazia, divisioni, povertà e ricchezze assolute, le attese e la vita sono state fatte a pezzettini e ricomposte.

L’aria è limpida, il ghiaccio di giorno diventa tenero, emerge sterco dappertutto, è il pascolo, anche se un mucchio di stracci e bottiglie vuote di cognac di Transnistria e vodka fa pensare ad altri usi serali. Vorrei tempo per pensare mentre le scarpe affondano piano nel ghiaccio, c’è così tanto silenzio e verde che tutto prende l’andamento quieto delle colline. I miei compagni di viaggio strombettano in lontananza, non sono interessati, è mezzogiorno. Mentre torno camminando piano, capisco che se faremo quello che pensiamo, qui cambierà tutto, forse anche i pensieri delle persone, ma non necessariamente in peggio. Il Sindaco ci aspetta, regaliamo fango (?) a tutti i tappeti che troviamo, un volume e un dvd di un mondo lontano e vicino, che conoscono per i racconti delle “badanti”, dei manovali laureati: un quarto della popolazione è in Italia. Ci  ripetiamo nei discorsi, speranze con accezioni diverse e obbiettivi comuni. Un mantra fatto di sviluppo, occupazione, successo d’impresa, cooperazione italo-moldava. Il nostro sviluppo non è il loro, noi esportiamo regole, criticità nuove, ma con 300 euro al mese, costo azienda per lavoratore,  è evidente che le motivazioni non possono coincidere, chi verrà portato da noi, non penserà allo sviluppo locale, ma al prodotto e al profitto. Il sindaco ci porta a pranzo in un locale notturno, qui non c’è la prostituzione d’alto bordo di Chisinau, il mercato è locale. Nell’oscurità coppie e ragazze stanno su tavoli incongrui, tra biliardi spenti. E’ mezzogiorno, parlano tra loro, forse è solo una pausa verso il pomeriggio fatto di noia, attese. Scendiamo verso una stanza riservata, il night è qui, tra luci colorate e pozze di tenebra agli angoli. Si sentono voci, ma si vede poco, a parte il bancone. La stanzetta ha due foto incorniciate e sbiadite: una ragazza nuda su un’auto sportiva d’epoca (il massimo del possesso) e una ragazza, anch’essa nuda, ma col berretto di papà gelo, che augura buon anno (’98, ’99 ?).  Tavolini di formica e tovagliette di plastica, l’allegria dissipa l’imbarazzo, forse il brodo caldo di gallina aiuta. La ragazza che serve in tavola avrà 16 anni. Chissà che pensa del suo futuro? Questi pensieri accompagneranno gran parte della mia giornata e i giorni seguenti. Ha i vestiti delle ragazze di campagna del nord est di 30 anni fa. Un maglione di lana fatto a mano, camicia e gonna di poco prezzo. E’ svelta, professionale, lega poco con il resto dell’arredo. Non lavora in fabbrica perchè c’è crisi, un tempo sarebbe stata a scuola. Qui le ragazze si sposano presto, pensano di essere vecchie a 25 anni, fanno figli a 18 e spesso a 26 sono divorziate. Nulla di strano, ma è tutto così fuori norma perchè mescola forma e sostanza, regole e cambiamento, che non riesco ad immaginare quali siano i desideri, le attese, i sogni. Esco alla luce del primo pomeriggio, i luoghi riprendono consistenza e prevalenza sulle persone. In fondo viviamo in ambienti chiusi, ci asseragliamo per tenere i pensieri su chi abbiamo vicino, fuori gli oggetti ridistribuiscono i piani visuali e i singoli, che non conosciamo, diventano massa, pensiero collettivo. 

Il ritorno a Chisinau è nel crepuscolo, sta gelando l’asfalto e il fango cambia colore, diventa marrone scuro. Sul ciglio della strada uomini e donne. Attendono un mezzo che li riporti a casa, agitano le braccia verso ogni veicolo in arrivo, chiedendo un passaggio. Se va bene risparmieranno i soldi del mezzo pubblico. Così ogni sera, ogni mattina. Una coppia su un carro scoperto, trainato da un cavallo, guarda le auto e i camion. Vanno piano, hanno pastrani di pelliccia, arriveranno a notte. Cambia tutto, non ci badano. Questo mondo finirà prima di loro, ma allora saranno racconti di vecchi, storie senza realtà.  

temperanza

Temperanza è la mia barca

in mare senza limiti,

temperanza è il mio approdo

su terra intonsa

Di diversa continenza,

con noncuranza trepida

ho gettato ai dadi

fortuna ed estro.

Temperanza esposta,

difficile lenzuolo al vento

ancor freddo,

mentre calde stagioni 

mutano con me,

senza posa,

senza posa.

Temperanza è il lusso

che mi permetto,

il regalo porto,

e del tempo, madre di parole,

faccio

con pazienza pezzettini

tra contraddizioni e lacci.

Temperanza e libertà.

Nessuno capirà

e che m’importa?

spam

Un segno del cielo? I miei commenti, a parte quelli a me stesso, finiscono in spam. Forse è l’anticamera del solipsismo de noantri, ovvero l’autoreferenzialità. Oppure, più banalmente, ho pasticciato con wordpress e come si sa dagli spaghetti western, io posso perdonare, ma wordpress no. Comunque sia, il 2008 è finito con un furto di parole, uno sciupio di sentimenti, dissolti in vibrazioni d’onda. Nell’immagine che ho del virtuale, le parole, sbriciolate tra dita amorevoli, trovano passeri che becchettano e che, indarno (questa la regalo a me), se ne sciamano allegramente.

Mi piacciono meno le parole buttate, le disavventure della tecnologia, ma i pensieri positivi ci sono e quelli mica me li possono rubare. Adesso entriamo a gamba tesa nell’anno, ché il gioco sarà duro, ma la squadra, ben diversa da quella del cavaliere, c’è. E’ la squadra degli incazzati con ragione, degli insofferenti della melina, degli affamati di giustizia, degli incapaci di capire. Perchè non c’è niente da capire oltre l’evidenza e di questo ormai ce ne facciamo insoddisfatto vanto, nel dire, nel chiedere, nel protestare.

Ad altri momenti le previsioni del tempo economico- sociale, per oggi  entro nella consapevolezza che sono qui e ora.

Buon futuro, adeguato alle attese, a tutti i viandanti.