tra dottrina e diottrie, preferisco le seconde che permettono di vedere
… se si vuole restituire una dimensione, umana, comunitaria, ecologica, non tanto in senso ambientale quanto psicologico esistenziale, alla nostra vita, se si vuole sfuggire a quello che ho chiamato il “ modello paranoico” che ci costringe a consumare per produrre a livelli sempre più insostenibili, a competizioni sempre più stressanti e ci priva del vero valore dell’esistenza, il tempo, non c’è “bio”, “ecocompatibile”, “we”, “sviluppo sostenibile” che tengano, il solo modo di tornare a “un’economia di sussistenza”, vale a dire, sia pure in modo graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano necessariamente per un recupero della terra e un ridimensionamento drastico dell’apparato industriale, finanziario e virtuale…
Massimo Fini ne “ il fatto quotidiano “ del 20-11-2010
Per un mio quasi coetaneo, benestante, realizzato e inquieto può essere facile dire “ torniamo ad un’economia di sussistenza”, in fondo l’aggettivo graduale non inficia né il tenore di vita, né le opportunità residue, e neppure le abitudini vengono sostanzialmente toccate. Le priorità di valori, le necessità si alterano con l’età e si invertono quando si esprimono salendo sulla scala delle possibilità economiche, vale a dire che a seconda di dove ci si trova nello spazio-tempo sociale si hanno bisogni differenti. Ma ciò non toglie che quanto diceva Massimo Fini mi trovi consenziente. Purché non sia un lusso occidentale: il n.i.m.b.y che sposta altrove le nostre difficoltà, senza rinunciare a nulla.
La strada dell’alternativa a questo modello di vivere non può essere indolore, bisogna perdere in abitudini, rinunciare per avere. La mia esperienza di lavoro cercava di proporre una compatibilità incrementante nell’uso del territorio e una riduzione progressiva dell’impatto, ma nell’attuare il processo, non conoscevo la velocità del degrado complessivo e dovevo, per eccesso di variabili, assumere che alterando di meno comunque miglioravo l’ ambiente, mi restava il dubbio, che oltre alle parole, vendevo un sottointeso, un inganno. E il solo motivo per cui venivo creduto era nella parola compatibile. La mia proposta non alterava desideri, attese, abitudini, ma semplicemente le arricchiva della speranza di non essere in un treno lanciato verso una catastrofe. Ma anche una catastrofe non faceva paura, perché si pensava che qualcuno comunque ci avrebbe salvato. Questo è un pensiero generalista che coinvolge il rapporto tra presente e futuro ed esonda dall’ambiente, alla pace, al benessere, alla tutela collettiva, sono cose che vengono affidate a un potere che dovrebbe risolvere, provvedere mentre è proprio questo che conduce verso la catastrofe. C’è una presunta distinzione tra i più forti, i possessori della tecnologia, ma non tra i più deboli, quelli sono dati per perduti al benessere che conosciamo. Illusione, se non subentra la consapevolezza che il futuro è nelle nostre mani, se non verrà esercitato il potere del voto, dell’opinione pubblica, si salveranno i lontani, quelli che hanno poco o nulla perché resterà poco o nulla.
Tutti pensano sia meglio appartenere a questa parte del mondo ed è vero, purché si veda dove esso sta andando, sempre più velocemente e lo si fermi. Questo riguarda anche quelli che si danno da fare per avere un mondo migliore perché ciò che era urgente ora è indifferibile, ma non sembra. La quiete del 1914 e la ricchezza di speranze nelle sorti magnifiche del mondo, ci dovrebbe insegnare qualcosa. Solo quelli che davvero scendono negli inferi del disagio, della fatica, capiscono che il mondo è salvabile ma che deve mutare non per tecnologia ma per convinzione (che in questo caso significa rivoluzione economica). E se le cose procedono indisturbate, bisogna trovare la speranza altrove, chiederla a chi conosce il disagio profondo di chi vive la contraddizione tra l’essere uomo e non essere riconosciuto come tale.
Oltre al degrado del pianeta che già da solo dovrebbe mobilitare tutte le nostre risorse per incidere sulle scelte del potere, c’è la minaccia di una terza guerra mondiale, che pericolosamente le menti maneggiano come fosse cosa possibile e distante. Einstein dopo aver assistito alla sperimentazioni delle prime due bombe a fissione, disse che se quest’arma fosse diventata una possibilità concreta per risolvere le questioni tra gli uomini, la quarta guerra mondiale sarebbe stata combattuta con le pietre e i bastoni. Allora si era agli albori di un’era in cui il potenziale distruttivo è tale da lasciare vivi i virus, che vivi non sono ma sanno il fatto loro. Per il potere la carne da cannone non ha mai cessato di nascere e si riproduce ovunque, al ritmo necessario per il suo consumo da parte delle élites. Se si diviene consapevoli di tutto ciò, cosa se trae se non la percezione delle proprie contraddizioni ed inanità. E per sfuggire all’apatia o alla disperazione del fare, quale strada resta a disposizione?
Trascurando i cambiamenti repentini da catastrofe, resta la via del cambiamento delle coscienze, la consapevolezza del pericolo, il proporre, l’essere conseguenti e l’attuare stili diversi di vita. Rifiutare per resistere, non delegare la propria vita, praticare ciò che è compatibile con sé stessi, approfondire le analisi e le compatibilità con il vivere, ma resistere alle menzogne che modificano la percezione. Abbiamo bisogno di riscoprire la verità, di chiederla come condizione per delegare potere. Oggi la comunicazione manipola come mai prima, approva, rende compartecipi dei magnifici destini del comportamento prevalente, della moda dei consumi, della scienza orientata a trovare soluzioni a ciò che si altera in un percorso infinito di rottura e riparazione, propone immagini in cui la morte diviene un fenomeno distante, toglie la pietà e con essa l’umanità. Abbatte l’etica e con essa le difese perché sembra che quanto si decide e accade, non ci riguardi, ma non è così. Bisogna resistere ed essere conseguenti, maturare consapevolezze, essere progressivamente innervati di priorità diverse, di cultura che conosce l’altra faccia della realtà e non ne ha paura, ma cambia in conseguenza.
Resistere significa avere i giovani dalla propria parte, senza la maggioranza dei giovani non si cambia e non si vince la paura che tutto sia determinato. Ma i giovani sono la parte più difficile da convincere perché devono ancora consumare, temono di perdere possibilità in una concezione del mondo che appare “pauperista”, meno ricca di opportunità di star bene, di avere. Restare in un ragionamento riduzionista è castrante, riconduce a gruppi piccoli, religiosi, mentre serve una laicità del crescere differente che evidenzi un modo nuovo di crescita, che si alimenti di selezione nel consumo e non tolga possibilità, anzi aggiunga incessantemente e con evidenza, qualità al vivere. Non è facile, anzi, il vedere la propria necessità diventare norma, toglie la capacità di cogliere i problemi, le difficoltà del mutare abitudini, le implicazioni di un modello che si basa su una libertà di scelta apparente, ma sostanziale. Rinunciare all’auto per andare a lavorare a piedi a 3 km di distanza non è una grande fatica, ma se il lavoro fosse a 30 km, con i mezzi pubblici insufficienti alle necessità? E per le donne che hanno sempre un lavoro doppio tra reddito e accudimento, sempre di corsa, come possono fare? E ancora in una società basata sulla sussistenza ci sarebbe lavoro per tutti, e con quali garanzie? L’industria ha permesso la formazione di una contrattualità che ha generato la conquista dello stato sociale da parte dei lavoratori, l’agricoltura non era in grado di farlo. Il commercio mette in relazione il mondo, ma ha bisogno di una moneta comune non del baratto. Immaginate un mondo in cui gran parte delle cose che fate, avete e usate, non abbiano più significato comune, un mondo artigiano in cui la tecnologia non ha serialità, una tecnologia resa solo funzionale, quasi domestica. Il progresso che rallenta perché non servono in continuazione nuove “release” di software o di hardware. Immaginate un mondo con il manifatturiero ridotto, un mercato basato praticamente sull’uso e non sul possesso. Immaginate che questo commercio svuoti le scelte nelle vetrine e nelle bancarelle. Immaginatelo questo mondo che colloca le persone e le cose al centro del loro significato quotidiano, perché deve esistere una via aurea per combinarlo con il mondo senza critica in cui viviamo. E questo mondo fatto di consumi e di sfrenato consumo di energia, si alimenta con tutto ciò che trova, con l’ambiente anzitutto, ma esonda nella guerra perché essa diviene l’affare di chi fornisce armi e poi ricostruisce. Il più grande affare della storia dell’umanità può concludersi con la scomparsa della civiltà e del genere umano ma per chi idolatra potere e rischio, c’è sempre il pensiero che gli altri soccomberanno. Per questo oggi ambiente, guerra, si intrecciano in un nodo che definisce non il benessere futuro ma la sopravvivenza della specie. Per conservare ciò che abbiamo ricevuto a partire dalla bellezza, per modificare le abitudini e per scoprire le nostre felicità, per diffondere benessere, abbiamo bisogno di cambiare la concezione del potere che consuma uomini e pianeta, abbiamo bisogna che la pace non sia un ideale ma la realtà dei rapporti tra gli uomini. Essere vivi e liberi, non prigionieri della volontà di potenza, delegare e pretendere saggezza nel governo. Se qualche centinaio di trattori hanno imposto la possibilità di continuare a usare i pesticidi e di avvelenare ulteriormente l’ambiente, se anziché toccare le catene commerciali che sviliscono il frutto del lavoro agricolo, si sono tolte le tasse per i redditi alla produzione, allora è possibile che le persone possano cambiare in meglio il mondo e allontanare la minaccia di una distruzione della specie umana. Basta chiedersi se davvero vogliamo un futuro in questo mondo e cosa siamo disponibili a pagare per averlo.
È tutto condivisibile quello che hai scritto. Ottima analisi, punto per punto lucida e propositiva. Grazie.
Ti rringrazio Marina, in realtà mi sono lasciato prendere la mano e avrei potuto essere più lucido, il tema ambiente, economia di consumo, neo colonialismo, guerra come mercato e sbocco di potere, è la rappresentazione che ho Chiara. È tutto legato e ogni linea rossa viene superata. Serve consapevolezza, reazione, resistenza, fosse solo per paura ed egoismo, ma rischiamo sul serio di scomparire.
Certe scelte, sia a livello individuale che soprattutto a livello di sistema, dovevano essere compiute già molti anni fa, e lo si sapeva. Avere il coraggio di cambiare modello di società, di produzione, di consumo, di vita. Cambiare priorità. Ci sarebbe anche stato il tempo per una gradualità. Ora io temo che siamo già fuori tempo massimo, sia per quanto riguarda l’ambiente, sia per quanto riguarda la guerra, le migrazioni dei popoli, la concentrazione della ricchezza. Non so da dove potrebbe venire una forza in grado di capovolgere tutto ciò, quando al contrario sulle scelte ambientali abbiamo già fatto marcia indietro, il problema delle migrazioni crediamo di risolverlo lasciando masse ingenti “fuori dei nostri cancelli” e quanto alla guerra, adesso è diventata di gran moda!
Hai ragione Marisa, siamo in ritardo, confido sulla capacità di capire dei giovani, un mondo senza futuro colpisce loro prima di me. Confido nella capacità di resistere alla guerra, di arrestare la follia. Spero e non dispero perché la disperazione mi renderebbe cinico e afono e non voglio esserlo.
Non sono affatto semplici le tematiche che poni .
Anche io credo che smettere di sperare serva solo a disperarsi …gli atteggiamenti e soprattutto i comportamenti che potrebbero conseguire , li ipotizzo dannosi per se stessi e per gli altri .Occorre il contrario , sul piano personale e non solo , sulla Terra siamo almeno tredici miliardi
L’unica via possibile è e resta cercare il confronto , il dialogo , l’apertura con e verso l’altro .
Non ho perso le speranze anche sulla fine delle guerre . Trattare, è piuttosto difficile ma non impossibile .
Purtroppo si raggiungono trattative dopo guerre lunghe folli e devastanti .
È stato perso tempo prezioso per ridurre e rallentare i danni sull’ambiente senza concordare scelte proficue , non abbiamo più tempo da perdere è vero.
Il comportamenti responsabili di ogni persona restano comunque molto importanti.
È impossibile fermare le migrazioni , anche per queste importanti problematiche non sono state fatte scelte etiche, né politiche responsabili ma di comodo.
I problemi sono talmente grandi che è naturale essere spaventati , e avere pensieri del genere “senza via di scampo” …
Ma vivere senza speranza significa morire oggi ,subito ,senza pensare ad un domani possibile .
I giovani faranno meglio di noi ?
Io spero e credo di sì .
Ritengo di essere consapevole della gravità della situazione a livello nazionale ,europeo e mondiale ,ci riguarda tutti
Scelgo di credere in un futuro possibile . Ho detto la mia, ciao Willy
Grazie Sossu, abbiamo la necessità di creare speranze fondate. Non esiste alternativa.
Buon pomeriggio 🤗