Mettendole nell’ordine sparso come oggi si usa e non per distanziamento sociale, ma per vicinanza d’affetti, di sensazioni, d’aver vissuto, così si distinguono confusioni e ricordi. Occorrerebbe un ordine, dice qualcuno che ha avuto una vita disordinatamente ordinata ed ora consumati i desideri, si acconcia a capire ciò che ricorda e ciò che invece pare sfuggire in tanto aver provato. Lo sconvolge quietamente quel non esserci rimasto nulla di veramente memorabile (o almeno tale d’aver cambiato la vita) e ricorda allora qualche piccola viltà oppure paure che in fondo hanno deciso per lui. Anzi, sin dall’inizio quel timore che non raccontava neppure a sé, aveva deciso per lui e non se n’era avveduto pensando che tutto fosse possibile, anche l’esser diverso da ciò che egli era.
Nel cogliere invece il quieto nell’inquietudine, il ruolo di ciò che si vede, vive e si ricorda (i ricordi sono l’osso infedele del futuro attorno a cui si costruisce la carne del presente), si perviene all’ansa in cui l’acqua del tempo s’è fermata. Si può sostare ed emerge la bellezza di persone, fatti, ricordi, attese, conquiste. La vita si riannoda e rende molto più ricca di sollecitazioni la realtà che pare attorniarci. C’è un prima e un dopo che si confondono, come se il secondo avesse determinato il primo ed è davvero così perché è il senno di poi che fa capire la follia del prima.
Allora quella volta abbiamo mentito? Oppure ci siamo convinti a forza che non era il caso a determinare le congiunzioni, gli incontri, che, dispettoso, non metteva le parole al posto giusto quando erano necessarie, che faceva oscillare i pensieri per proprio conto, indecisi, proprio per complicarci la vita? Se in quell’ansa di tranquillità dello scorrere del tempo, ci venisse concesso di guardare a ciò che sembra sia accaduto e per, ulteriore grazia, si potesse mescolare il tutto con l’arte varia che accompagna le vite, allora si potrebbe dire, ad esempio, che nessuno in quella notte insonne, tanto meno noi, sapeva cosa sarebbe accaduto il mattino seguente e neppure quella notte aveva un copione già scritto. Né vivendola, si avrebbe avuto idea della ricchezza che ciascuno riceveva. Insomma tutto si svolgeva per suo conto per il solo fatto d’esserci, anche se (sotto sotto) qualcuno aveva pensato d’averla generata, e così ne aveva tratto una sensazione di potenza e di soddisfazione di sé. Dominare il caso e al tempo stesso esserne travolto agente: sciocchezze e autogratificazioni diffuse, ma inconsistenti.
Nella quiete resta la consapevolezza che tutta questa confusione ordinata che ora s’affolla, si sia generata con un ordine, e che questo si sia attuato vivendo in un tentativo di accordo con sé. Allora il compitare la gentilezza insegnata è stato nascere, e se ne sono consapevole ciò mi mette in una gratitudine infinita. Vorrei ringraziare chi l’ha permesso. Vedere con la calma che meritano queste persone, che non sono solo situazioni e ricordi, e dar loro il rispetto che devono avere, render loro il ringraziamento profondo per avermi accompagnato e ancora accompagnarmi.
E ciò mi commuove e mi riempie di tenerezza e speranza.
Verso il passato ho un senso di impotenza. Non posso cambiarlo e lo devo accettare. Sento un senso di appagamento che non deriva certo dall’aver raggiunto chissà quali obbiettivi ma da una pienezza di esperienza che, a volte, mi lascia indifferente verso quel che potrebbe essere il futuro. Potrei “andarmene” anche oggi stesso e sarebbe senza rimpianti.
Hai una vita che ti assomiglia nel profondo. Sei stato bravo a costruirla e ad ascoltarti. Cosa rara Voltaire 😊