La superfluità è una categoria di giudizio impietosa. L’esserne oggetto pone in un recesso della società dell’utile. La stessa società che venera il maiale e non lo dice, anzi lo connota di una negatività proterva, d’una sotterranea invidia per la sporcizia godereccia ch’esso in realtà non ha perché è conforme al vivere suo. Insomma essere un po’ maiali nel senso d’una libertà istintiva ma non dirlo. Ipocrita, la ben pensante società, connota l’inutile rendendolo desiderio lussuoso nelle cose e invece banalmente esecrabile negli uomini. Scegliere d’essere superflui significa portarsi nell’eccezione. Uscire da un conformismo del servire a qualcosa, mettersi nel canto in cui solo i pochi simili potranno riconoscersi come affini.
Il superfluo paga le tasse e persegue altro da ciò che gli si sarebbe apparentemente utile. Nell’amore va contro corrente seguendo il cuore oltre la convenienza, nel lavoro sembra adattarsi ad un ruolo che non brilla, nel pensiero coltiva passioni fortissime per ciò che è marginale al main stream della cultura. È ospite della stessa nave ma guarda troppo il mare, si perde sul ponte, nel naufragio sembra il primo da sacrificare. Eppure, c’è sempre un eppure nelle cose, senza la sua presenza il mondo sarebbe incompleto, conforme e scontato, chiuso alla meraviglia, ripetitivo. Non gli si può dare importanza, ma la sua superfluità è la roccia che separa l’acqua nel fiume, si bagna e non s’imbeve, e mostra la terra dov’è solo conforme fluire.
Bello, ancora una volta quanto hai ben espresso//reso con parole. Può essere fabula il costruito, forse ce lo dobbiamo
Vive l’eppure!
Viva..opss
@SoloG: Mi piaceva quasi quasi di più il vive.
@lamelabella: ce lo dobbiamo. È bello sentirlo e pensarlo 🙂
Et alors..Vive!