Un tappeto di steli piegati,
battuto da pesi inconsapevoli,
da neve corrotta e d’ansia pesante d’inverno;
neppure il cielo denso di bianco e di grigio, consola.
I disastri non hanno voce, come gran parte delle nostre pene,
anzi ci sediamo su esse in attesa di consolazione,
perché esserci, nel momento della malinconia, è misura del bene,
e anche il silenzio è un tenero abbraccio.
Non sempre, non solo,
ché il bene dall’utile senso del vivere non si separa,
né dal tenere o dal lasciar correre,
liberi anche di tornare,
così, chi si risolve nell’essere consapevole del proprio respiro,
nel camminare, o alzare il braccio per cingere,
o ancora la mano aperta in carezza e la bocca pronta al bacio,
e ne conserva memoria costante,
sì che il gesto si rinnovi e sia guida di vita,
come altri, ancora, consumano l’attimo, tra fuoco desiderante e spossatezze,
specchio di chi si trova in battaglia,
e nell’attimo in cui si gioca la vita, non la vede e non la coglie,
ma solo allora sente che pesa, importa e acquista senso.
Penso alle umili, per noi, cose,
che altro destino non hanno che la misericordia dei giganti indifferenti e idioti,
oppure che il caso le lasci sole a crescere il proprio destino,
nel rispetto del prato, perché gli steli raddrizzino il capo,
e a noi venga inattesa,
l’esperienza del verde irrompere
nell’assoluto del semplice.

Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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Non conoscevo la complessità del prato fin quando una persona che ha competenze in botanica mi ha fatto conoscere la sottilissima ‘sensibilità’ dell’equilibrio di questo ambiente, in base agli animali che ci vivono, camminano, mangiano, rispetto alla presenza umana, e come le più piccole erbe e piante scompaiano o rigoglino in presenza di minuzie infinitesimali. La capacità di adattamento del prato è sorprendente, fa capire come esso sia vivo. Quell’assoluto del semplice spesso nasconde percorsi complessissimi e sfuggevoli, fortuna che noi ne cogliamo l’insieme. Pensa cosa sarebbe vivere vedendo tutto nei dettagli, sempre, in ogni momento. Saremmo ridotti all’inattività. Invece abbiamo questa capacità di oblio parziale che a volte ci salva dal troppo vedere, soffrire, aspettare, fare previsioni, confermare le nostre paure, i deliri e quant’altro.
E a noi venga inattesa l’esperienza (…) nell’assoluto del semplice.
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Avere la sensazione dell’equilibrio nella complessità credo sia già molto, hai ragione, ci salva la miopia e l’oblio verso ciò che vediamo, dentro di noi capire di più ci fa bene, magari conservando il senso del relativo.
Buon di di festa 🙂
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