Difficile e predittivo l’inizio, diceva la mia insegnante di lettere, poi il resto è opera d’artigiani del pensiero logico. Ed io facevo inizi folgoranti, salvo poi seguire le mie fantasie per pagine tortuose. E’ questione di pazienza, le dicevo, se si legge abbastanza magari non si coglie il senso dello svolgimento rispetto al tema, ma quello della testa, sì. ( Non mi pareva vi fosse eccessivo interesse per la mia testa). Mi consolavo, pensando che le migliori cose sono quelle fuori tema e visti gli insuccessi del folgorante, ero passato all’inizio ansante, quello che sembra un cagnone fermo un poco enfisematico, un inizio senza corsa, fatto di pennellate rapide, convulse, come se il passato fosse davvero già avvenuto, mentre chi scrive sa bene che il passato è davvero avvenuto solo quando lo si è scritto, prima è una sequenza di fatti, di frames a cui non essendoci un filo logico (il filo è sempre nel futuro, perché lì si capisce cos’ è accaduto davvero), solo la logica delle parole può dargli un senso. Insomma io scrivevo storie che promettevano molto e poi menavano il can ansante per l’aia. Non mi capiva nessuno, neppure l’insegnante di lettere, che pure mi elargiva bei voti d’incoraggiamento e mi diceva, ma cosa volevi davvero dire? Io facevo il misterioso, alludevo, le parlavo della festa della sera prima e di quella della sera dopo, così lei capiva che ero festaiolo e un pochino m’invidiava, perché diceva, bella età, ma poi i nodi vengono al pettine.
Ecco questa dei nodi che vengono al pettine mi è sempre parsa una partenza fulminante, per niente scontata, perché per me era il pettine che veniva ai capelli, ammenocché non essere un aspirante milite e mettere il pettine fisso e la testa mobile per pettinarsi. Faccenda questa dei nodi anche un tantino pericolosa, io avevo i capelli ricci e i nodi si scioglievano passandoci le dita aperte, ma forse si trattava di nodi più difficili e dolorosi rispetto ai miei, e se per caso cadevamo nella configurazione topologica gordiana, la cosa diventava critica, un qualsiasi Alessandro il grande, con un colpo di spada scioglieva il nodo, ma si sarebbe fermato a tempo? Ecco, queste cose mica le potevo spiegare alla mia insegnante di lettere, al massimo potevo dirle che il pettine Alessandro non mi piaceva e subire il rischio che ancora una volta lei non capisse nulla di quell’allievo che molto prometteva e nulla manteneva,
Fu così che determinai da allora che in ogni storia che si rispetti, anziché mettere in premessa ciò che poi sarebbe venuto, l’inizio sarebbe stato un parlar d’altro, e che il senso l’avrei criptato e nascosto tra le frasi del testo successivo. Pezzetti d’una storia che non finiva in un comporre chiuso, ma diveniva una sciarada che continuava a svolgere il suo senso. Devo dire, sommessamente, per chi avesse capito l’andazzo linear circolare dello scrivere, che mica ne posseggo la soluzione, al massimo ne intuisco il divenire. Turing, genio assoluto e co inventore con Newman di Colossus, la macchina per decrittare i codici che i tedeschi creavano con Enigma, mi avrebbe sputtanato in un attimo e m’avrebbe raccontato per filo e per segno la storia, quella che ancora non so come vada a finire, ma la mia insegnante non era Turing, era bella e discuteva volentieri, per questo perdeva il filo del discorso. L’avessero saputo i nazisti, l’avrebbero utilizzata subito, non si sarebbe capiva molto del messaggio, però era un bel vedere. Lei spiegava benissimo, molto e d’altro, ma chi m’affascinava era Gadda, chi volevo essere era Boccaccio, per via degli ormoni giovanili applicati alla letteratura, entrambi mi sembravano perfetti. Glielo dissi, lei mi rispose che c’erano altre sorprese nella letteratura. Non le credetti che al 78%, finché non scoprii Calvino. Lui non lo sapeva, ma alla stregua di Borges e della riscrittura del Don Chisciotte, la lezione di “una notte d’inverno un viaggiatore” io l’avevo già svolta, solo che non l’avevano capita.
Il segreto si nasconde nei dettagli, parimenti al buon diavolo, oppure nella pancia dove sembrano dormire le parole, e il rasoio di Occam serve a far la barba, l’inizio è solo un inizio a cui se ne sovrappone un altro, così in sequenza perché se è vero che se si vuol sapere dove vuole arrivare questo scemo (Totò), ci sarà sempre uno che capisce e dice: ma mi faccia il piacere (idem).

Vista la complessità dell’argomento e della tua riflessione mi fermo solo ad alcune considerazioni:
– in quanto all’interesse per la tua testa, hai recuperato alla grande
– quindi, per me che non scrivo, il passato non esiste, non è avvenuto?? 😦
– mica ho capito perchè le hai creduto al 78%: perchè non all 77? o al 79?? 😛
Scrivi complicato, è vero, ma è molto piacevole seguire i tuoi “arzigogolamenti”.
🙂
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where is my mind?
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Buon giorno Ondina, siamo mattinieri eh… 🙂
Il passato è mobile, come i ricordi e si ferma solo quando ne capiamo il senso, ovvero esiste, ma ha bisogno di essere elaborato. Che sia in testa o sulla pagina poco importa, basta che non cambi di senso troppo spesso.
Il 78% è la media pesata del credito che ricevevo, espressa in voti, non potevo crederle per meno della fiducia ricevuta, sarebbe stato ingiusto.
Arzigogolo: potrebbe essere un filosofo bizantino minore della scuola di Costantinopoli. 🙂
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da quanto ti leggo, your mind è in un gassoso, tangibile, respirabile amore
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La duttilità della storia che si smaterializza e si ricompone dà una sensazione di leggerezza, ma anche di garbuglio. C’è il rischio di perdere il filo logico e di trovarsi a passare di palo in frasca. Ma la vita non mi sembra più di tanto estemporanea; se così fosse, se tutto potesse essere reinventato o rimaneggiato, dirottato su nuove traiettorie, mica saremmo tanto inquieti e col senso della ‘palla al piede’ come spesso succede. Forse quella letteraria è la dimensione elettiva non tanto della consolazione (non c’è mai risposta definitiva al nostro bisogno di consolazione) ma per spezzare le catene del reale, dell’univocità, per trovare parole che dicono i tanti modi in cui le cose possono andare.
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credo che il reale sia sempre a mezzo tra ciò che vediamo e ciò che pensiamo, scrivere dà dimensione a ciò che si pensa, quindi fa parte del reale. M’hai fatto tornare a mente il barone di Calvino che viveva sugli alberi e non posava mai il piede a terra, destinato ad una infelicità senza poter sfuggire alla prigione autoimposta, in fondo svolgere per forza una storia che compiaccia qualcuno è autoimporsi un reale che non c’è.
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Sì Will, sono convintissima che svolgere per forza una storia che compiaccia qualcuno è autoimporsi un reale che non c’è, ma nel contempo è farsi violenza e non rispettarsi come persona.
Che sia una bella e fresca giornata, Will.
A proposito, come siamo messi a pioggia e refoli freschi? 🙂
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Più che di compiacimento abbiamo bisogno di una comprensione più profonda, e il racconto, come suggerisci nel post, appare come un percorso aperto che ci permette la rilettura e la ridefinizione di come le cose ‘potrebbero’ andare; comprendere in fondo che si possono trovare vie alternative. Non è una semplice fuga nella fiaba o equilibrismo compiaciuto.
Semplicemente quel che si racconta potrebbe essere diverso da quel che è.
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@m0ra: Quello che si racconta, quasi sempre, è una possibilità molto fondata di quello che è. Questo quando le storie ci riguardano, oppure quando raccontiamo ciò che vediamo. Vedere e sentire sono cose diverse, ed è proprio il sentire che fa la differenza, cioè la descrizione del sentire è una nostra realtà, questa per diventare comune ha bisogno della comunicazione e lo scrivere assolve egregiamente allo scopo se non diventa esso stesso una prigionia, una deformazione del sentire per ottemperare regole sintattiche, consequenzialità temporali (cose che nel sentire sono davvero poco evidenti e le categorie di prima e dopo hanno valore solo in termini di maggiore e minore comprensione), velature forti perché chi legge potrebbe capire troppo, ecc. ecc.
Nel mio scrivere, ed è ormai diventato automatico, c’è un andamento a spirale, per trovare la linearità bisogna svolgerla, ed inoltre, piccole frasi sono disseminate nel corpo dello scritto. Sono quelle davvero importanti per me, quelle che sono i pezzi della storia, e queste proseguono da un pezzo all’altro, come il vivere che non ha soluzioni di continuità, ma tra le abitudini e i luoghi comuni individua ciò che è meritevole di essere riconosciuto come singolare e proprio. Tu M0ra, del resto, conosci bene quanto dico perché i tuoi testi sono ricchi di tracce e solo apparentemente complessi, credo che per molti di noi sia davvero difficile raccontare qualcosa che sia profondamente diverso da quello che sentiamo e che è.
@Ondina:i refoli freschi ci sono, la pioggia latita, la macchina è impolverata, quasi onta, meglio, ma ancora non basta. Impegnati. 🙂
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Certo che sei incontentabile 😉
Mi concentrerò di più, farò il possibile per impegnarmi maggiormente … 😛
ma l’ONT dell’auto non abbisogna solo della pioggia (più o meno forte) ma pure di un po’ (anzi molto) olio di gomito, Will caro!
Su, su!
Buon pomeriggio, ciao 🙂
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