Parliamo tanto di me, che questo poi si fa guardando il mondo e raffrontandoci in continuo con ciò che percepiamo, sentiamo, guardiamo. A questo serve scrivere parlando d’altro. E pure a dire la verità scrivendo, la mia verità. La verità non si esibisce, si racconta, è un’approssimazione della comprensione, ma la verità di chi scrive onestamente, anche quando è ipotetica, è chirurgica. Almeno chirurgica a sé, e inseguendo qualche demone, lo anatomizza, ma vuol lasciarlo vivo ed aderente alla sua verità. Ché poi è la stessa di chi scrive. La verità del guitto, invece, balla larga nei vestiti non sono suo e vuole far apparire tali.
Dirla con semplicità, la verità, ma questo è il segreto dello scrittore di rango che ammanta la semplicità di vesti e la lascia spogliare da chi conosce l’erotismo della verità.
La verità ha una sua malinconia, che supera di molto il racconto del proprio malessere, anzi il parlar d’altro è un modo per proporre diversamente la malinconia che è nelle cose. E sono le cose che ci colpiscono, che offendono; in fondo la verità è una mediazione tra un sentire e un essere ed entrambe le condizioni sono vulnerabili dalle cose. Ma restiamo in ambiti domestici: la nostra verità, che è poi bisogno, non ha specchio nel bujo del non vedersi, del non sapere chi si ha davanti. Soprattutto se si scrive come si borbotta tra sé. Il fatto di non avere specchio nello sguardo, nell’espressione, fa trovare specchio nelle parole e qui, a volte, si potrebbe usare la perfetta ricetta dello scrittore, ovvero mistero, storia, erotismo q.b. Ma questa non è mica verità, è racconto, plot, eppure quanti tentativi maldestri di racconto auto specchiante slegato da chi scrive, si trovano.
Chi ha lembi di storia comune si capisce per ricordi conosciuti, sensazioni sperimentate. Aiuta il vissuto che si sovrappone. Questa condizione si può trasferire anche nella relazione epistolare, che è fatta di sintonie profonde, rivelazioni intime, è un percorso di conoscenza, una relazione. Invece scrivere da queste parti, razionalizza, semplifica. Una frase in testa è fatta di continuità piene di puntini multimediali, qui spiegare tutto diventa una fatica immane. Allora si razionalizza, e si perde il succo della vita vera. Non scrivo per essere capito subito, non da tutti almeno, ma per la sintonia.
Oh beh!
questa canzone è per me la summa sublime di ciò che si può comunicare:
Credo che solo con poche, rarissime persone, si possa creare una sintonia tale grazie alla quale affidar loro i nostri aspetti più intimi, alle quali “comunicare” almeno parte di noi stessi.
Quando e se succede è un grande regalo che ci viene offerto pochissime volte nella vita.
Ci si annusa, si cerca di capire, si scava fuori e dentro di noi e si valuta se è il caso o meno di fidarsi e affidarsi.
Commovente poesia la canzone che hai allegato Will,
buona giornata
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splendida canzone
La verità….che tema immenso …nulla è più multiforme della verità
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Si razionalizza e si perde il succo della vita vera.
E’ una riflessione che condivido; quando si riflette sulla vita è perchè non la si vive. Perchè questo ‘vivere’ di cui si fa un gran parlare, anche a sproposito, somiglia quanto più allo scivolare sulla superficie, al cadere e rialzarsi, tentare, sbagliare, riprovare. L’essere è più in profondità, ma il vivere e il sentirsi vivere va rapportato con la superficie, i fatti, le cose, le banalità. E’ difficile nella relazione epistolare sostenere la fatica che prende le forme della cura. Il percorso di conoscenza necessita di una superficie che lo scambio scritto non consente.
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nella cura ci deve essere, come nell’amore, una doppia disponibilità: quella di lasciarsi curare e di curare. La relazione epistolare non esaurisce certamente la necessità di conoscere l’altro, essere vicini è una scelta che usa più mezzi.
Scriversi è una componente potente di un incontro, ma bisogna che sia un incontro.
Hai ragione sulla differenza tra vivere come superficie (con puntate al profondo) e l’essere.
In fondo di questo vivere, di cui molto si parla, il limite è proprio la superficie. Per scavare, agisce (obbliga) più il malessere, o il dolore, che la gioia, ma per comunicare la conoscenza che emerge c’è bisogno di voglia e di fiducia totale.
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