Weber e la toponomastica

 

Nei miei trascorsi di sociologia, m’affascinava il rigore dell’analisi storico-sociale di Weber, la capacità di lettura del suo tempo e la necessità di trovare invarianti e radici. E con l’impeto tipico degli ignoranti, avrei voluto essere un weberiano. Il suo saggio sulla burocrazia, mi convinse talmente che tolsi la connotazione negativa alla parola e da allora l’ho considerata un baluardo ( un po’ flaccido ) alla mutevolezza delle politiche. Insomma un sostegno su cui contare come prassi ed oggettività, che è come dire: maltrattati tutti allo stesso modo. E questa, a suo modo, è una sicurezza.

Stamattina sono andato in comune, ufficio toponomastica e numerazione civica. Non dovevo intitolarmi una via, non è ancora ora, più semplicemente mi serviva la conferma della numerazione civica, cioè dovevo chiedere al comune di dire che il mio numero di casa è quello e che ho una porta. Il tutto perché si chiuda l’agibilità del mio appartamento ristrutturato. Sono stati gentilissimi e solerti, mi hanno dato il modulo che era scaricabile da internet -sapendo dove cercare-, mi hanno assistito nella compilazione, mi hanno sostenuto nella consapevolezza di dichiarare che davvero ero io e che quello era il mio numero di casa. Poi sono sceso dal tabaccaio e ho messo una marca da 14.62 euro ( perché non 14 o 15 euro, perché devo mettere una marca da bollo su una cosa che dichiaro io? Mah…), tornato al 3° piano è nato il primo problema: servivano due mappe che dicessero dov’è la casa. Panico. Il cervello si è affollato dell’esercito di geometri ed ingegneri che al capezzale delle mie povere stanze si sono esercitati con scienza e coscienza, chi era in grado di darmi una mappa senza farmi comprare un satellite? Il soccorso mi è arrivato dall’impiegato (segno che vedi lo smarrimento, sono stanco di cercare di capire perché sia tutto così complicato, quando costruiscono palazzi abusivi senza colpo ferire), le mappe le stampava lui, estraendole dall’aerofotogrammetrico-catastale del comune. Detto fatto e due copie di dove abito, con relativo numero civico, mi sono state date. Ho guardato, assentito, è proprio casa mia, con la biro rossa ho indicato l’ingresso (si vede, accidenti, che è l’ingresso, me l’hai dato tu: abito al quarto piano, non sono l’uomo ragno e non mi arrampico per i balconi con la spesa per entrare dalla finestra). Ringrazio e sorrido. Manca la copia della carta di identità. Domanda stupida: visto che è un’autodichiarazione, non posso dire chi sono oltre al fatto di dove abito?  No, non è possibile. Scendo, fotocopio, compro una seconda marca, risalgo tre piani. Mi torna alla mente Diaz e le valli discese con orgogliosa sicurezza, risalgo con i residui di speranza: sto vincendo o perdendo la guerra? Evviva! Si può fare. Tra 15 giorni ci sarà il sopralluogo che accerterà se davvero esiste un ingresso e un numero civico, se la casa esiste, se non uso il free climbing per entrare. Consegno prendo la ricevuta. Posso fare una domanda? Si? Grazie. In comune esisto all’anagrafe, i vigili 3 anni fa hanno accertato che abito in una casa certa e dotata di porta. La porta è stata varcata, (non era un trompe d’oeil), il vigile che è salito ha rischiato l’infarto e m’ha detto: ma lei cosa farà da vecchio senza ascensore? E l’ha pure scritto. Per fare le mie povere cose l’edilizia privata ha accettato una concessione edilizia e poi una dia, l’ufficio elettorale mi scrive periodicamente. Anche il sindaco mi scrive, anche l’opposizione mi scrive. Chissà in quanti uffici sanno che esisto e che abito lì, non mi sono mai sentito solo in questi anni. Ma perché devo dire che ho una porta e un numero civico? Ma perché non vi parlate tra di voi?

Silenzio. Colpo di tosse: è la norma. 

 Sorrido. Beviamoci un caffé alla macchinetta, che è meglio, và…

Ecco tra 15 giorni finalmente potrò dire che solipsisticamente la mia esistenza è certa. Che effettivamente entro da quella porta che ha quel numero civico. Allora andrò all’edilizia privata e, trionfante, completerò l’ abitabilità burocratica, di una casa che abito da tre anni ed esiste da 60. Si chiuderà così una pratica per la ristrutturazione che  potevo fare chissà come e che nessuno è mai venuto a vedere. Si ri-accerterà l’esistenza di un numero civico dato a quella porta da almeno 60 anni, un ufficio aprirà una cartella che mi riguarda e la prossima volta si ripeterà tutto eguale.

Weber mi è apparso, ma abbiamo parlato d’altro, ha convenuto che se nella vita non ho fatto il sociologo, potevo spiacermi un po’. Come potevo spiacermi che lui, morto troppo presto, non avesse avuto modo di occuparsi della toponomastica. Che però, adesso, una certezza la possedevo e, pur cultore del dubbio, al contrario del tenente Kjie, con una marca da 14.62 euro e un’autodichiarazione mi posso certificare che esisto. Ha convenuto che solo la burocrazia mi poteva dare questo diritto eguale.