il nuovo e il movimento

Nel nuovo, spesso, vogliamo leggere il dissiparsi delle nostre paure. Forzando la realtà, piegandola verso di noi, come se il nuovo coincidesse con il movimento (e quindi con il succedersi delle esperienze) si pensa di risolvere il bisogno di guardare il lato che c’inquieta, c’illudiamo che il nuovo sia il cavaliere bianco che ci porta fuori dal temere. Questa confusione tra nuovo e movimento, dando ad entrambi un significato positivo, altera il rapporto tra dentro e fuori, fa girare la testa da altre parti. Ma lo specchio è fermo e noi ci vediamo in esso se davvero vogliamo vederci, come pure è fermo il lato oscuro che sta nel fondo di noi stessi, assieme agli  archetipi che c’appartengono, e che sono, come noi, specie. E non occorre fare molto perché i vapori di quell’oscurità emergano nell’insicurezza lieve, o forte, quando siamo soli con noi stessi, e s’installino nella mente quasi fossero un preannuncio negativo.

Ci ameranno, saremo amati, chi ci difenderà dal male? 

Basta muoversi e non pensare troppo oppure guardare in faccia l’inquietudine, sapendo che solo noi siamo malattia e medicamento, e che questo comporta il fermarsi, il togliere veli, anziché sovrapporne. Ma quest’ultima è solo una delle alternative: per molti non occorre affrontare i propri demoni, si può correre sempre innanzi, passando da un’esperienza all’altra e non  chiedersi se si sta precedendo qualcosa oppure se si sia perennemente in fuga da se stessi.

Credo che ognuno faccia il giusto se segue se stesso; io tendo a fermarmi, per riflettere e cercare di capire i motivi dell’andare assieme all’inquietudine, forse per dargli una direzione, ma è una strada questa mia, come le altre.