odor di mosti, tartufi e nocciole tostate

 

in cerca di Giulia

in cerca di Giulia

 

Questo mondo non è perfetto, è ordinato, di quell’ordine che sanno dare i preti prima e poi la coscienza della terra, del lavoro, della roba. Una sequenza di fatiche, come in altre parti di questo paese, ma qui il denaro ha premiato il lavoro e l’ordine mentale, altrove non è stato sempre così. La voglia di solidità si vede dai tanti mattoni. Quelli pieni, solidi, di un tempo. Utili a far case e fortezze, per sfidare i secoli assieme ai loro abitanti. Tra le cascine si sono infilate le villette, hanno occupato gli spazi residui lasciati dalle vigne, qualche pezzo di bosco, senza protervia. La malagrazia di molto è dettata dalla fretta e dalla paura di perdere ciò che faticosamente si è conquistato, più in fabbrica che sui campi. Quando i partigiani scendevano ad Alba non c’erano tante case, e neppure tante cantine o B&B. Ma adesso i partigiani non servono in collina, sono necessari in città. Si è rovesciato il mondo e i vini danno il nome ai paesi: piccoli grumi di case, ristorantini, enoteche, vinerie. E’ rimasta l’antica cortesia, per chi ancora ci bada e trae piacere dai gesti rattenuti, dalle voci discrete. Non lontano da qui c’era la casa di Giulia, quella che Johnny vuol vedere, per parlare, capire: è alle prese con la gelosia e la guerra e l’amore rendono tutto impellente, anche sapere. In Fenoglio la descrizione della gelosia è dialogo interiore, l’inconfessabilità a sè stessi delle ragioni profonde del voler possedere, la percezione che i tempi dello scegliere sono passati ed altre scelte si sono accumulate.  Scelte escludenti di possibilità e per questo intollerabili, come se tutto ci dovesse essere dato. Sapere, perchè sapere? Per essere liberi?  Che illusione la libertà che dipende, la libertà del prigioniero d’amore che si dà in ostaggio. O forse sapere serve per aggiustare il presente squinternato e il conoscere dovrebbe dar ragione, rimettere ordine, in testa e nelle pulsioni. In fondo è l’ordine che c’è qui attorno, nelle vigne con le rose in testa di filare, nella pulizia delle strade secondarie, nelle case curate.

Partendo da casa Fenoglio, a fianco del Duomo, si arriva subito al municipio. E’ quello della balconata gremita di capi e comandanti dei 23 giorni della città d’Alba. Con l’ironia di chi sa come va a finire, Fenoglio, racconta la distanza tra potere e popolo, fino alla gioia e all’applauso autoindotto. Ma non è importante il finale della folla, importante è che sia accaduto e che quelle vite mescolassero cose esteriori, apparentemente grandi, con emozioni e amori, altrettanto grandi. E portandosi questa unicità salivano e scendevano dalla collina tra le vigne e odor di mosti, tartufi e nocciole tostate, e poi, ancora, passavano all’altro crinale verso un nuovo declivio, sapendo che quell’andare sarebbe finito. Prima o poi.